Marco Dell’acqua: “La pandemia ha messo in luce alcune debolezze endemiche della nostra città, ma seppur con grande fatica e molta sofferenza sapremo uscire dalla difficile situazione in cui ci troviamo”

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Ci siamo conosciuti pochi mesi fa, attraverso i social network. La sensazione, però, è stata subito quella di aver vissuto diverse esperienze simili, seppur a distanza di qualche anno. E poi le amicizie e le conoscenze professionali in comune, così com’è in comune l’amore per Milano e calcisticamente per i colori rossoneri. Insomma, con Marco Dell’acqua abbiamo riscoperto un passato più o meno parallelo. Adesso stiamo condividendo un presente a tinte fosche e ragioniamo insieme su un futuro che immaginiamo e speriamo portatore di buone notizie. Di questo ed altro abbiamo deciso di chiacchierare qui, su queste pagine, offrendo le nostre riflessioni ai lettori. Milanese, 54 anni, sposato e padre di un ragazzo, giornalista pubblicista, scrittore, blogger e consulente di un noto istituto internazionale di ricerca, Dell’acqua è un uomo di grande sensibilità e onestà intellettuale, qualità ben note a chi ha avuto e ha la fortuna di conoscerlo. La sua professionalità e la sua storia personale sono di dominio pubblico, così come la sua capacità di raccontarsi e di raccontare, l’impegno che ha preso nei confronti della città che gli ha dato i natali e che finora, nonostante le sue vicissitudini, non glieli ha chiesti indietro… “Al di là della tua battuta è proprio così”, sorride. “Amo Milano e sono un suo tifoso. Tuttavia, registro che dopo l’abbuffata dell’attrattività, dell’andiamo a mille, la pandemia che stiamo vivendo ha messo in luce alcune debolezze endemiche. Le periferie, per esempio, non sono mai state coinvolte fino in fondo nel processo evolutivo della città, che ha lasciato molto, troppo spazio a un certo fighettismo da pantalone con risvoltino, camicia bianca, spritz nella mano sinistra e Iphone in quella destra. In molti luoghi poco è cambiato; l’avidità e l’egoismo, un po’ anni ’80 (alla Gordon Gekko in Wall Street, per intenderci), sono ancora e purtroppo presenti. Questi sentimenti hanno finito per erodere il tradizionale senso di umiltà e di umanità di Milano, che naturalmente e per fortuna è anche altro. La sua particolare bellezza, infatti, è data dal mix di molte culture, da una civiltà dell’accoglienza e della tolleranza. Penso che sapremo uscire dalla difficile situazione in cui ci troviamo. Con fatica e sofferenza, ma ce la faremo. La crisi sociale e sanitaria ha messo in discussione il paradigma per cui conta di più quello che fai di quello che sei. La sanità privata e quella pubblica, le zone a traffico limitato e le periferie, Carlo Cracco e il Pane Quotidiano, via Montenapoleone e le case Aler, i giovani superattivi e i fragili, chi vive nel Bosco Verticale e i rider che consegnano il cibo. La sfida sarà tenere insieme tutto questo”.

Secondo te è stato fatto finora tutto quello che era possibile e doveroso fare?

“Secondo me no, molto di più poteva essere fatto. Non ci si può basare solo sulla buona volontà e la generosità delle persone. Ci devono essere delle Istituzioni capaci di fornire soluzioni e di rispondere alle esigenze dei cittadini, soprattutto dei più bisognosi. Non entro in ambiti tecnici, ma tutti sanno della mancanza dei vaccini antinfluenzali, dell’incertezza e del disordine informativo, sui colori delle regioni, sulla gente in giro”.

Marco dell’acqua, 54 anni, sposato e padre di un figlio, è giornalista, scrittore, blogger e consulente di un noto istituto internazionale di ricerca

Da cittadino e giornalista: sul fronte della corretta informazione sono stati commessi molti errori? E che opinione hai riguardo ai provvedimenti presi dalle autorità nazionali, lombarde e milanesi?

“E’ molto difficile prendere decisioni in questo momento e non sempre le informazioni, che dovrebbero aiutare a decidere correttamente, sono chiare. Penso che una città ricca e organizzata come Milano avrebbe dovuto rispondere in maniera più operativa. E torno sempre al punto delle fragilità, di chi ha difficoltà, commercianti e ristoratori compresi. Alcune decisioni, purtroppo, sono state clamorose: la mancata zona rossa di Nembro e Alzano, i contagiati nelle RSA, le persone per strada senza mascherine. La responsabilità non è solo dei cittadini. Le leggi e le regole, in uno Stato democratico come il nostro, servono per proteggerci, non per ridurre la nostra libertà. Approfondire costa fatica a chi scrive un articolo e a chi lo legge e se a dominare è il numero dei click è facile capire che nessuno farà un benché minimo sforzo di comprensione”.

I comportamenti complessivi degli italiani (e in particolare dei milanesi e dei lombardi) finora sono stati buoni o possono ancora migliorare?

“Il problema è come abbiamo detto economico, sociale, sanitario, informativo. I mancati investimenti in questi settori hanno determinato i comportamenti dei cittadini, che si sono trovati disorientati da una tempesta di notizie, entro le quali non è stato più possibile distinguere il vero dal verosimile”.

Per tutti noi questa esperienza è stata una “prima volta”. Quanto ha influito e influisce il fatto di essere il popolo di un Paese (e dei cittadini, nel caso di Milano) in cui il benessere è diffuso e quindi poco (o per niente) abituato a confrontarsi con difficoltà di questo tipo?

“Su questo non sono molto d’accordo. E’ vero, a Milano il benessere è diffuso, ma anche molto concentrato. Basterebbe farsi un giro sotto i portici di via Vittor Pisani o al Pane Quotidiano per capire che anche nella nostra città c’è la miseria. Oppure andare in qualche ospedale, per vedere gli ambulatori sempre pieni e le liste d’attesa di mesi anche per esami di routine. Per paradosso dico che il benessere è per chi se lo può permettere”…

E invece quanto ha contribuito ad alleviare le sofferenze, sia individuali che collettive, il fatto di vivere in piena era tecnologica, con moltissimi strumenti di comunicazione a disposizione per superare le barriere fisiche e connettere comunque le persone fra di esse?

“Questo è un punto fondamentale, ha permesso a chi aveva già una cultura digitale di migliorarla, di approfittare dello smartworking. Per altri, invece, non è stato così. Però è certamente il futuro che si muove in quella direzione e il mondo virtuale sarà parte della nostra realtà. Ci permetterà di guadagnare tempo e aumentare la produttività. Questo, ovviamente, se riusciremo ad avere un rapporto umano con la tecnologia”.

Non pensi che come spesso accade, paradossalmente, in situazioni come queste si creino nuove opportunità in tutti gli ambiti, dal sociale al culturale e a quello lavorativo e professionale?

“Questo è vero in parte. Per alcuni ci saranno opportunità, per altri ci saranno dei problemi. Certamente si amplia la percezione dei nostri sensi, ma dovremo anche aumentare le nostre conoscenze perché la cultura è fondamentale per comprendere, selezionare e non rimanere travolti dal mainstream di notizie. Sappiamo come si chiamano i figli di Al Bano e non sappiamo se i nostri figli sono a posto con le vaccinazioni o che documenti servono per fare il passaporto”.

Parliamo della macchina sanitaria e milanese e lombarda, adesso. Tu hai vissuto un’esperienza molto forte perché ti sei ammalato gravemente, ma ne sei uscito vivo. Sei una persona adatta, quindi, a tastare il polso delle nostre strutture e a formulare un giudizio, sia complessivo che particolare…

“Milano ha degli ospedali eccellenti e di alta specializzazione. All’Istituto dei tumori mi hanno salvato la vita, ma la medicina territoriale ha fallito. Parlare con un medico di famiglia è come vincere la lotteria, mentre il privato ha fatto bingo: vaccinazioni, tamponi, visite, esami, è tutto facile, basta pagare. E chi non può pagare, beh, sono cavoli suoi”…

Passiamo alla tua passione per il calcio e per il Milan. Hai scritto anche dei libri al riguardo. Quando nasce il tuo amore per i colori rossoneri e cosa pensi di una squadra che non è più nelle mani di un presidente italiano e milanese?

“Sono milanista e molto appassionato, il fatto che non ci sia più un presidente italiano non è una novità. Il punto deve essere la qualità, la conoscenza, la voglia di investire da parte di chi ha rilevato un patrimonio così importante. Il Milan è dei milanisti che lo hanno nel cuore”.

Marco dell’acqua immortalato l’estate scorsa in compagnia del fuoriclasse rossonero Zlatan Ibrahimovic

Come ha reagito il mondo del calcio, secondo te, a questa drammatica
situazione?

“Da un punto di vista sociale poteva fare molto di più, si poteva organizzare una partita di beneficenza con i big delle varie squadre e con l’invito a raccogliere fondi per aiutare chi è in difficoltà. E a marzo, quando scadrà l’obbligo di non licenziare, sarà un’altra fase difficile”.

Per concludere, Marco: secondo te come cambierà lo stile di vita a Milano? Almeno fino a quando i suoi abitanti saranno costretti a cambiarlo, visto che questa città vive delle sue relazioni, degli incontri che diventano occasioni e progetti e invece per mesi ha dovuto organizzarsi diversamente, con i social network e le video chiamate…

“Milano, come dice il suo nome, è nel mezzo, è sempre stato un crocevia e adesso, oltre che di uomini, lo sarà anche di fibra e di innovazione. Anche in quello saprà reagire, è la città italiana che più di ogni altra ha incarnato il cambiamento. Siamo noi che siamo passati dalle fabbriche e dalle fonderie alla moda, al design e alla comunicazione, dal materiale all’immateriale. E così passeremo anche alla convivenza tra reale e digitale”.

 

Ermanno Accardi (giornalista e scrittore)

 

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