La nevicata del 1985: ricordi della Milano da bere. E da percorrere a piedi…

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Non sai cosa fare. Guardi fuori dalla finestra. Il cielo sempre grigio. Riabbassi lo sguardo sul tuo disegno e continui a colorare. Sei a metà. È l’ultimo. Poi la cartella sarà ultimata. Dovrai solo impaginare ogni disegno. Ma è un lavoro meccanico, di tecnica non di ingegno. Va fatto con cura anch’esso, tutto con cura, ma non ti richiederà sforzo creativo. L’anima che crea vita può riposare.
È un appuntamento importante quello che ti aspetta la mattina dopo e vuoi che tutto sia perfetto. Nulla lasciato al caso. Tutto ben curato. Il tempo di far sbocciare una peonia sul foglio, rifinirla col profumo della passione per ciò che stai facendo e rialzi la testa dal foglio. Guardi fuori dalla finestra. Il cielo è rimasto grigio. Ma ora quel grigio uguale a quello di prima è punteggiato di mille silenziosi fiocchi bianchi. Ha iniziato a nevicare. Mentre creavi la tua peonia non te ne sei accorta. Eri in primavera con il tuo fiore mentre fuori scendeva l’inverno. Ti alzi dalla sedia e vai a vedere la strada, la piazza. Tutto già ricoperto di uno strato di bianco. Da quanto tempo nevica. Un’ora non di più. Cerchi con lo sguardo la tua macchina parcheggiata giù davanti al portone del tuo studio. È là. Sembra un piccolo pandoro appena spolverato di zucchero. È la tua prima auto. Una Cinquecento. Comperata usata con i tuoi guadagni; la vendita dei tuoi disegni. Sei andata a vederla da chi la vendeva con tuo padre perché ti aiutasse a capire, lui che di macchine ne aveva avute tante e tenute sempre perfette, se fosse in condizioni buone per essere acquistata. La tua prima auto; l’avevi chiamata Petronilla e ti era costata ottocentomila lire. Che orgoglio. Che traguardo. Bellissima. Ora la vedevi laggiù nel parcheggio. Il tuo cane, seduti vicino a te, guarda anche lui fuori dalla finestra, sembra che senta i tuoi pensieri perché ti rivolge uno sguardo interrogativo. A tua volta lo guardi come a cercare nei suoi occhi ciò che non potrà dirti. Quindi che facciamo. Che ore sono. Cosa devo ancora fare. Non guardi più fuori ma tutto intorno a te. Il tavolo, i disegni pronti da impaginare, controlli che il colore della peonia sia asciutto. Ragioni fumandoti una sigaretta. Il rumore del traffico si ovatta. Anche tu pari ovattata da come ti alzi lentamente dal divano e vai alla finestra a guardare la situazione fuori. Pensi mentre ti avvii. Che faccio. Vado a casa portandomi il lavoro da finire o lo finisco e poi vado a casa? Apri la finestra e riguardi giù in strada la tua macchina. Senti il grigio rumore del traffico essersi fatto lontano. Strisciante.
Meglio tornare a casa e finire là il lavoro. Raccogli tutto ciò che ti serve. Metti la grande cartella porta disegni dentro un sacco nero dell’immondizia chiudi tutto in studio e scendi seguita dal tuo cane. Il primo piede che appoggi in strada affonda già di qualche centimetro. Dall’alto non ti era sembrata così tanta la neve caduta e così consistente. Pareva la solita neve umidiccia ed evanescente cittadina. Invece hai violato un angolo vergine lasciando la tua impronta su una neve con la n maiuscola. Neve vera. Compatta. Solida. Bellissima. Metti tutto in macchina. Tutto stipato su quel sedile posteriore dove cane e cartella 50×70 dividono uno spazio davvero angusto. Pulisci tutti i vetri dalla neve con la mano. Provi gioia a quel freddo contatto. Avresti voglia di farne una palla e tirarla …non si sa a chi. Giocare con lei come in montagna, come bambini. La neve mette allegria. Poi sali e accendi il motore. E i tergicristalli. Fai un po’ di fatica ad uscire dal parcheggio perché le piccole ruote della tua Petronilla scivolano. Ma ce la fate. Il tragitto da studio a casa che richiede di solito un quarto d’ora è lento. Cerchi di non frenare. Mai. La neve continua a cadere copiosa. Attraverso i finestrini vedi i volti dei conducenti delle altre auto. Dei passanti. Su molti l’aria consapevole di star vivendo una situazione anomala per la quale non è colpa di nessuno e va vissuta per quello che è si esprime con un sorriso e rassegnata comprensione della situazione. Su altri volti, quelli di chi si arrabbiano per il solo fatto di esistere, tensione e disappunto. Grigi. Ma tu canti…E non lasciare andare un giorno/ Per ritrovar te stesso/Figlio di un cielo/ così bello/Perché la vita è adesso/è adesso…avresti voglia di aprire il finestrino e farti sentire se non fosse che sei stonata come una campana e la neve entrerebbe in macchina. Vicino a casa parcheggi. Poi sali con tutto il tuo materiale e il tuo cane al seguito. Anche lui è stato felice per quella neve. Ci ha saltato e strofinato dentro il naso per poi starnutire e ricominciare a correre. La neve continua a cadere senza sosta. Bianca, fitta, elegante e silenziosa ma determinata. Saranno già dieci centimetri. Dieci centimetri in un paio di ore. È metà pomeriggio, già quasi buio.

È gennaio. Tua madre è felice che tu sia rincasata timorosa nel saperti in giro con quel tempaccio. Sistemi le tue cose sul tavolo grande e inizi il lavoro di impaginazione dei tuoi lavori.
L’incontro che ti attende l’indomani è importante. Un cliente nuovo. Non si può e non si deve deludere. Un nome nel suo settore e lo studio in cui dovrai andare è in pieno centro. Una delle vie più leganti di Milano. Non un cotonificio qualsiasi sperso nell’hinterland milanese. Nevica. Nevica ancora e senza sosta. Saranno venti centimetri buoni quando porti fuori il cane verso le dieci di sera prima di andare a dormire. I tuoi genitori si preoccupano di come farai ad andare a quell’appuntamento l’indomani mattina. Dall’inizio di corso Sempione a via Borgonovo. Di sicuro non ci saranno in ufficio se continuerà a nevicare così, dicono. Passa la notte. Più silenziosa del solito. Solo qualche tonfo sordo ogni tanto. È qualche blocco di neve che dagli alberi del giardino cade a terra per il troppo peso. A Milano irreale rumore montano. Mattina grigia. Mattina grigia, ma non milanese. Silenzio. Guardi fuori dalla finestra. Nevica. Ha nevicato. Sempre. Per tutta la notte. È tanta quella neve che ricopre tutto. Poche righe di ruote sulla carreggiata. Poche impronte sul marciapiede. È un meraviglioso momento sospeso. Che fare ti chiedi. Prepararsi comunque per l’appuntamento. Nevica, non bombardano. Mentre guardi ancora fuori dalla finestra quel paesaggio mai visto in città sorseggiando il caffè ti vengono in mente racconti di nonni e amici di altre epoche. Quelle lontane in cui sembra nevicasse sempre. Quelle in cui il bagno non era in casa ma sui ballatoi comuni a tutto il piano. Quelle in cui il riscaldamento era la stufa che accendevi quando ti alzavi e nel frattempo gelavi in casa tua. E ti dovevi vestire per andare a fare pipì. La faccia la lavavi con l’acqua fredda e non esistevano gli stivali di gomma come abbiamo noi o i doposci, nemmeno le giacche a vento impermeabili. E comunque si viveva. Anche in inverno. Saresti andata a quell’appuntamento. Saresti arrivata puntuale. Porti fuori il cane che salta felice in quella massa fredda e vaporosa. I pochi in giro si sorridono come fossero complici in quell’impresa di camminare nella neve e in quel silenzio… Di mattini più leggeri/ E cieli smarginati di speranza/E di silenzi da ascoltare/ E ti sorprenderai a cantare/ Ma non sai perché…/La vita è adesso. E con quella voglia di farcela sempre dopo aver riportato a casa il cane ti prepari per andare al tuo appuntamento. Perché l’ufficio è aperto. Hai telefonato. Loro ci sono e anche tu ci sarai. Così alle nove parti a piedi con la tua cartellona dentro il sacco nero dell’immondizia sotto braccio, la borsa a tracolla e l’ombrello verso il centro. Uscita dalla piccola strada dove abiti ti trovi in un corso Sempione irrealmente fatato. Anche lì pochissimo traffico. Sembra che fuori Milano nevicasse ancora di più. Pochissimi passanti e i tram. I tram … Chissà se ne passerà uno ogni tanto. Non ti fermi alla fermata ad aspettare. Non se ne vedono in lontananza. Ti metti a camminare di fianco ai binari su quel piccolo marciapiede che c’è. Tu sai che c’è perché lì aspetti il tuo tram sempre. Ma oggi non si vede più quel piccolo camminamento che si allarga a diventare marciapiede solo in prossimità delle fermate. È diventato tutt’uno con la strada. Lasci le tue impronte una dietro l’altra dietro di te, nel bianco intonso come le briciole di Pollicino. Chissà quante saranno le mie orme ti chiedi girandoti indietro ogni tanto per vedere se all’orizzonte spunta un tram. Nulla. Solo le tue tracce ma nessun mezzo in vista. Cammini. Devi farlo di buona lena perché non sei sicura che prima o poi possa passere un mezzo per giungere in tempo all’appuntamento, ma non puoi farlo troppo di corsa. Non puoi sudare. Colerebbe il trucco. Non puoi presentarti scarmigliata e in disordine, devi mantenere una andatura di crociera che ti permetta di arrivare ma anche di non scomporti. Lavori nella moda. Vai in centro. Fai parte di Milano. Devi essere sempre e comunque al top. Un caffè però si può. Si deve. Ti dà la carica. Ti agita anche ma va bene. Lo bevi. Ti parli e ti tranquillizzi. Sei in tempo. I lavori che porti sono buoni, quindi niente tensione inutile. In piazza Cadorna più gente, ma sempre meno del solito. Qualche mezzo. Strapieno che procede lentissimo. La tua cartella è ingombrante. Meglio continuare a piedi. Il tempo c’è. Fai un grande e profondo respiro. Nevica ed è tutto bellissimo. Ti piace tutto quello che vedi. Che senti. Gli sguardi della gente. Sono sempre più belli nelle emergenze. Anche se tesi si aprono più facilmente a un sorriso se si ha bisogno, se si augura un buon giorno inatteso in un passaggio in cui ci sia da una mano. Attraversare è complicato. Non si capisce dove finisce il bordo del marciapiede e dove inizia la strada. Una storta è in agguato. Qualcuno è scivolato. Si aiuta ad alzarsi ci si sorregge a vicenda per superare un muro di neve fatto dagli spazzaneve. Non esiste più il tempo scandito dai semafori. Tu li guardi ma loro stanno vivendo una vita propria, quelli che funzionano, che è diversa da quella della gente e dei mezzi. Tutto va al ritmo del buon senso. Tutto va al ritmo della provvisorietà… E piove sui capelli / E sopra i tavolini dei caffè all’aperto / E ti domandi incerto chi sei tu…/Sei tu…/sei tu…/sei tu…/Sei tu che spingi avanti il cuore / Ed il lavoro duro / Di essere uomo e non sapere / Cosa sarà il futuro…/ Sei tu nel tempo che ci fa più grandi / La vita è adesso!!! Finché svolti l’angolo e vedi la via Borgonovo. Sei arrivata. Mancano pochi metri e sarai arrivata. In tempo. Puntuale. Ti fermi un attimo per riprendere un respiro normale. Ti specchi nel vetro di un portone. Il tuo aspetto è decoroso. Riesci a prendere la spazzola dalla borsa e pettinarti senza appoggiare nulla a terra e senza far cadere nulla del tuo prezioso carico. Le tue gote sono un po’ troppo rosse per essere una della Milano da bere, sembrano più di una montanara, ma a quello non hai rimedio. È da una vita che non ne hai rimedio, passerà anche oggi. Sali. “Signorina che piacere vederla, trovare una persona affidabile e che non rimanda alla prima inezia. Si accomodi” Intanto, fuori continua a nevicare…

Elisabetta Nobili (scrittrice milanese)

(immagini: Corriere della Sera)