In mostra al Museo del Novecento la sintesi e la grandiosità di Mario Sironi

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Dopo un periodo buio, in cui gli appassionati d’arte hanno dovuto rinunciare a godere di persona dell’offerta culturale della città, Milano è tornata a proporre al pubblico mostre davvero incantevoli. Fino al 27 marzo 2022, ad esempio, il Museo del Novecento presenta “Mario Sironi. Sintesi e grandiosità”, un’ampia e approfondita retrospettiva che ripercorre l’opera del grande pittore, a sessant’anni dalla morte. Sironi si spense infatti il 13 agosto 1961 proprio a Milano. Era nato a Sassari il 12 maggio 1885, dall’ ingegnere milanese Enrico Sironi e dalla fiorentina Giulia Villa. L’esposizione è curata da Elena Pontiggia e dalla direttrice del Museo del Novecento, Anna Maria Montaldo, in collaborazione con Andrea Sironi-Strausswald (dell’associazione milanese Mario Sironi) e Romana Sironi (dell’Archivio romano Mario Sironi). Centodieci le opere esposte, che ne ricostruiscono l’intero percorso artistico: dalla giovanile stagione simbolista all’adesione al futurismo, dalla sua originale interpretazione della metafisica, nel 1919, al momento classico del Novecento Italiano, dalla crisi espressionista del 1929-30 alla pittura monumentale degli anni Trenta, fino al secondo dopoguerra e all’Apocalisse dipinta poco prima della morte. “Il senso di una grande mostra dedicata a Sironi al Museo del Novecento”, spiega Anna Maria Montaldo, “sta anche nell’identificazione del suo segno nella rappresentazione del paesaggio urbano di Milano: nella resa livida e di struggente bellezza delle sue periferie, nella tragica sintesi delle figure umane del periodo fascista, nella relazione con l’arte pubblica che ha segnato il capoluogo lombardo negli anni Trenta del secolo scorso”. La mostra si estende anche nelle sale sironiane del Museo del Novecento e a Casa Museo Boschi Di Stefano, si avvale di prestiti dai maggiori musei italiani (tra cui la Pinacoteca di Brera, Ca’ Pesaro e la Fondazione Guggenheim di Venezia, il MART di Trento e Rovereto) e da collezioni private, riunendo così in un unico contesto i lavori più significativi dell’artista. Sono esposti, infatti, alcuni capolavori che non comparivano in un’antologica sironiana da quasi mezzo secolo (l’affascinante Pandora, 1921-1922; Paese nella valle, 1928; Case e alberi, 1929; L’abbeverata, 1929-30), e altri completamente inediti. Ampiamente rappresentato è il ciclo dei paesaggi urbani, il tema più famoso di Sironi, che acquista intensità dopo il suo arrivo a Milano nel 1919 ed esprime sia la drammaticità della città moderna sia una volontà potente di costruire, in tutti i sensi. Tra questi ci sono capolavori ben noti, come Sintesi di paesaggio urbano (1921), La cattedrale (1921), Paesaggio urbano col tram (1925-28) del Museo del Novecento, esposto alla Biennale di Venezia del 1928, la Periferia (1943). Sironi però è stato anche un grande interprete della figura umana. Ne danno testimonianza un nutrito gruppo di opere, tra cui il pierfrancescano Nudo del 1923 (prediletto da Margherita Sarfatti), la misteriosa Donna con vaso del 1924, il Pescatore (1925), La fata della montagna (1928) la Niobide (1931) e il doloroso Lazzaro (1946), dove per la prima volta nella millenaria iconografia del soggetto Sironi dipinge un Lazzaro che non risorge, simbolo del crollo di tutte le sue idee, a cominciare dal fascismo in cui aveva creduto. Ampio spazio è poi dedicato al suo legame con la pittura murale negli anni Trenta, di cui fu teorico e interprete. Sono presenti, inoltre, capolavori monumentali quali la luminosa Vittoria alata, il gigantesco studio per l’aula magna della Sapienza di Roma, il visionario Condottiero a cavallo (tutti realizzati nel 1935) e il potente studio preparatorio, lungo quasi sei metri, della Giustizia Corporativa (1937-38). Lasciata alle spalle la sezione dedicata alla pittura murale, il viaggio nell’arte di Sironi volge al termine nelle ultime sale, che documentano i drammatici anni finali dell’artista, tormentato anche dalla perdita della figlia Rossana, che si toglie la vita nel 1948 a diciotto anni. Particolarmente ricca di suggestione la sua ultima opera, che il maestro stesso battezzò “L’ultimo quadro”. Risale al 1961, l’anno della scomparsa dell’artista. È esposta nell’ultima sala, quasi a salutare per l’ultima volta i visitatori…

Stefania Chines