Federico Formignani: “La mia Milano è in continuo cambiamento. Sono convinto che con la sua vocazione internazionale sarà sempre il motore trainante del nostro Paese”

Mi onora della sua amicizia e della sua stima. Ed io, che dell’amicizia (oltre che dei colleghi più maturi di me) ho un rispetto sacrale, non posso che esserne felice e lusingato. Ancor più adesso, che ha accettato volentieri di chiacchierare un po’ con me, su queste pagine, della nostra Milano, della quale lui, rispetto a me, che sono adottivo, è un figlio legittimo. Federico Formignani, la cui età non si dice, come per le signore (ma posso rivelare che ha passato da qualche anno le ottanta primavere), è un grande giornalista e un altrettanto grande scrittore e viaggiatore. Milanese doc, ha vissuto a Londra e collaborato con la Radio Svizzera di Lugano, con la Rai di Milano e con le più importanti testate di turismo, realizzando reportage da quasi tutti i Paesi del mondo. Il suo percorso professionale è davvero molto lungo e fortunatamente anche pubblico, così da risparmiarmi la mera elencazione di tutte le cose che ha fatto fino ad oggi e consentirmi di concentrare la mia attenzione sul suo pensiero, intenso e mai banale, riguardo alla città e non solo… “Quando all’estero dicevo di essere di Milano, quasi tutti sapevano di che città italiana stessi parlando”, esordisce sospirando. “Viaggiando, ho incontrato connazionali che dicevano di essere milanesi, per poi scoprire che vivevano a Legnano, a Buccinasco, a Bollate e via dicendo. Simpatici bugiardi”, sorride. “Per molti stranieri c’è la Milano conosciuta per l’Inter e il Milan e quella conosciuta per le sue università, per il Cenacolo, per il Duomo. Un tempo era la città più industriale d’Italia, oggi viene accreditata come uno dei maggiori centri finanziari d’Europa. Nel 2010 ero ad Ayers Rock, in Australia, dove ci sono i celebri monoliti di Uluru e Kata Tjuta. In un grande spazio all’aperto, prossimo all’hotel che mi ospitava, c’era il ristorante, con diverse cucine a tavoli disseminati un po’ ovunque. E c’era anche uno spazio isolato per i fumatori: io, col mio sigaro (allora fumavo), amici di chiacchiere del momento, che venivano dall’Austria, dalla Gran Bretagna e qualche raro australiano fumatore. Quando mi hanno chiesto da che città venissi, hanno esultato tutti in coro: Ah, the city of Bunga-Bunga” (e il suo sorriso si trasforma in una risata, alla quale mi unisco).

Quanto è cambiata e quanto sta cambiando, la nostra città, secondo te?

“I cambiamenti di Milano, dal Duemila in poi, sono stati in un certo senso tumultuosi. Sotto il profilo architettonico innanzitutto, con l’edificazione di numerosi grattacieli, palazzi spettacolari; è stato rifatto il look (come si dice oggi) alle vie e alle piazze (rendendole spesso luoghi d’aggregazione e non solo di transito) e si è messo mano, infine, al restauro conservativo ed accurato dei più storici palazzi cittadini, divenuti luoghi per incontri culturali, mostre, conferenze e molto altro. Anche la viabilità è soggetta a cambiamenti continui: spesso provvisori (le metropolitane e gli scavi avanzano), altre volte definitivi, con migliori collegamenti con le periferie e i centri comunali autonomi ormai compresi nella Grande Milano. Un appunto, però, mi sento di muoverlo: la Grande Milano c’è solo sulla carta (mentre una Grande Roma, per esempio, è già operativa); molte attività e funzioni dei Comuni vicini sono in evidente contrasto con le esigenze cittadine e questo finisce per nuocere alle due parti. Rispetto agli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, Milano è enormemente cambiata. Da vecchio milanese rimpiango luoghi, case, vie e locali che avevano una propria vita, ma formavano un tessuto unitario della città. Tutto questo, oggi, è frammentato, in parte spersonalizzato. Ma c’è poco da fare, il progresso divora tutto, anche se qualche volte favorisce lo sbocciare di nuove gemme cittadine. Basti pensare alla meraviglia urbana che sta nascendo nell’area di Expo 2015. Una Milano nuova, efficiente ed elegante”.

Federico Formignani colto dall’obiettivo del fotografo durante un incontro pubblico. Milanese doc, giornalista e scrittore, ha viaggiato in quasi tutti i Paesi del mondo

Accennando all’Esposizione Universale di nove anni fa, mi fai riflettere sul fatto che Milano ha sempre avuto un respiro più ampio dei suoi confini. Tutto quello che la riguarda interessa sia a livello nazionale che internazionale. Tu pensi che sia in grado, anche oggi, di interpretare questo ruolo? Oppure è stata, “colonizzata”, nel senso che questo interesse esterno ha prodotto investimenti economici e finanziari che hanno portato imprenditori, finanzieri e banchieri ad impadronirsene?

“Si, sono convinto, da milanese e da persona che si picca di ragionare sulle cose senza sparare soluzioni o sentenze dettate da prime sensazioni, che Milano continui ad essere il motore trainante del nostro Paese. E per un semplice motivo: Milano è camaleontica, individua con prontezza le cose che non vanno e quasi sempre, nel cercare di raddrizzarle, aggiunge quel pizzico di inventiva, risorse finanziarie e lungimiranza, che portano a modificare in meglio il semplice intervento inizialmente programmato. Colonizzata Milano? Sì. In peggio dal male antico e inestirpabile della burocrazia e in meglio dagli apporti e dagli interscambi internazionali, che se ben gestiti consentono nuove e producenti iniziative”.

Tu sei molto bravo a descrivere la realtà servendoti della fantasia e uno dei pochi a saper scrivere in milanese. Raramente, ormai, si sente parlare il dialetto in città. È ancora un patrimonio della cultura lombarda?

“Si sente dire spesso che il dialetto sta morendo, ma non è vero. Il l dialetto cambia, si adatta ai mutamenti vertiginosi della società e della stessa lingua. Leggere oggi il dialetto impiegato dal commediografo e poeta Carlo Maria Maggi nel Seicento o quello di Carlo Porta del Sette-Ottocento è veramente ostico, se non si conoscono i fondamentali della parlata meneghina. Così come, nel Novecento, è stato sciocco criticare il nuovo milanese del poeta Franco Loi (genovese di nascita) che ha “inventato” nuove parole ed espressioni per esprimere (graficamente) il dialetto che aveva imparato dai compagni di gioco milanesi dell’infanzia. Il milanese è un dialetto non facile, sia da leggere sia da parlare. Chi è nato qui è avvantaggiato, ma non mi sento di criticare, anzi, chi lo usa, ricorrendo ai proverbi, alle frasi note e perfino coloro i quali cercano di parlarlo incespicando su vocali o fonemi che tradiscono provenienze da altre ragioni, ma sono milanesi a tutti gli effetti. Concludo dicendo con sicurezza che i milanesi amano la propria parlata e molti, fra questi, la studiano e la coltivano, frequentando circoli e associazioni che si adoperano per conservarne la conoscenza e la vitalità”.

Un’altra bella immagine di Federico Formignani. Il giornalista e scrittore milanese ha deciso di donare quasi un migliaio di volumi e raccolte di giornali della sua biblioteca privata alle scuole e alle associazioni culturali che ne faranno richiesta

Parliamo brevemente anche della nostra professione, che è sempre stata un osservatorio privilegiato sulla città. Ma è ancora privilegiato, questo osservatorio? Come sta il giornalismo di casa nostra, secondo te? E il settore dell’editoria, nel suo complesso? E quali contributi ha portato (se lo ha portato) lo sviluppo della Rete e dei Social Network?

“Oggi Milano ha molti “occhi” che la osservano: gli occhi della stampa, quelli della televisione, quelli dei cineasti, quelli dei freelance che girano dappertutto, chiedendo, filmando e proponendo a terzi i propri lavori, con la speranza di ritagliarsi un futuro da giornalista, un professionista che per logica vocazione scriverà per i giornali e magari scriverà anche libri. È un tasto dolente, questo, e troppo esteso da trattare in questa sede senza pagare il dazio alla sintesi. È indubbio, però, che giornalismo ed editoria, strettamente connessi, non godono di buona salute generale e per conseguenza gli occhi sulla città vengono spesso rivolti dalla terza categoria dei Social Network, croce e delizia dei tempi attuali. Per rispondere alla tua domanda conclusiva sui benefici apportati dai media: ci sono, certo, sono innegabili, così come ci sono gli addetti ai lavori che sanno promuovere, suggerire, guidare e criticare all’occorrenza i piani di sviluppo della città. Abbiamo purtroppo anche l’uso improprio ed esasperatamente negativo su tutto e su tutti, da parte di certa stampa e, naturalmente, da una moltitudine di odiatori da tastiera che affollano la Rete”.

So che al termine della tua attività di giornalista e scrittore (che personalmente ritengo ancora molto al di là dall’essere conclusa), hai in programma di concedere in omaggio alcune opere, nell’ambito di una serie di lasciti e donazioni. Possiamo dire qualcosa di più ai nostri lettori?

“La mia passione, oltre che per il lavoro che ho svolto e continuo a svolgere, è per i libri. Possiedo una raccolta di testi dei dialetti lombardi e di zone limitrofe d’influenza lombarda, come il Piemonte Occidentale, l’Emilia Padana, la Svizzera Italiana. Sono quasi 900 volumi. Una raccolta specializzata: vocabolari delle varie province lombarde, testi di carattere generale, raccolte paremiologiche, poesie, studi specifici (ad esempio, i nomi in dialetto dell’avifauna bresciana). Sono tutti libri acquistati nel tempo o avuti in omaggio per il lavoro che svolgevo di “promozione” delle diverse parlate. Lo stesso vale per una vasta raccolta di libri che parlano della lingua italiana in tutte le sue accezioni. Verranno probabilmente acquistati da qualche biblioteca o donati a qualche istituzione culturale. Non mancano poi raccolte di riviste settimanali o mensili di viaggio ed altri libri di argomenti vari, che mi farà piacere donare a scuole, associazioni culturali, gruppi di lettura che propongono i prestiti, l’interscambio di opere tra i vari soci o frequentatori. Ritengo sia un delitto buttare via libri o raccolte di un certo interesse di riviste e giornali. Sarei contento di sapere che i volumi che ho posseduto e trattato con rispetto (e in qualche caso, anche con amore) avranno fatto la gioia di altre persone”.

Ermanno Accardi (giornalista e scrittore)