Emergenza Coronavirus: la spesa è più umana nei piccoli negozi di quartiere

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Ardue prove di resistenza. A un mese dall’inizio dell’emergenza sanitaria per il Coronavirus la vita dei milanesi, abituati alla frenesia lavorativa, diventa sempre più difficile. Ironia della sorte, noi che siamo sempre super attivi siamo davvero chiamati a restare a casa sul divano a poltrire. E da oggi sono tempi duri anche per gli amanti della corsetta, che possono sgambettare solo nei pressi della propria abitazione. Addio ai chilometraggi da una zona all’altra della città. Ma prima o poi anche i runner si rifaranno. È scattata invece l’ennesima corsa all’approvvigionamento. Pare che si potrà fare la spesa solo una volta alla settimana. Ieri, dopo avere trascorso più di un’ora in fila per entrare all’Unes di via Vallazze, una volta a casa ho avuto un’amara sorpresa: avevo dimenticato di comprare il caffè. Toglietemi tutto, ma non la tazzina di caffè. Lo so, è un momento doloroso, però il mio mi sembra un peccatuccio che i più mi perdoneranno.

Il piccolo negozio di alimentari di via Vallazze, nei pressi di Piazza Gobetti, gestito da extracomunitari

E stamattina mi viene un’idea. Invece di rifare la fila davanti al supermercato, quasi raddoppiata rispetto a ieri, decido di provare a vedere se il negozietto di alimentari gestito da extracomunitari (nei pressi di Piazza Gobetti) tiene l’amato nettare. Ebbene sì, non solo non c’è coda (tutti schizzinosi?), ma quasi mi commuovo nel vedere nello scaffale il pacchettino di “Lavazza Crema e Gusto”. Un omino dalla pelle ambrata tenta di vendermelo a quattro euro. Nonostante mi sentissi già in crisi di astinenza il prezzo mi sembra esagerato e trattando riesco a spuntare uno sconticino di 80 centesimi. Meglio di niente, sono soddisfatta. Vorrei abbracciare il mio venditore di felicità, che diligentemente indossa guanti e mascherina. Viene dal Bangladesh. Mi saluta con un “Ciao!” che mai mi è sembrato più cordiale.

L’edicola di via Pacini angolo via Teodosio, al confine tra la zona Lambrate e Città Studi

Con le ali ai piedi mi avvio all’edicola della mia zona, quella di Lambrate, ai confini con Città Studi, dove Oscar (questo il nome dell’edicolante) attende i clienti con il consueto sorriso. È un punto di riferimento per tanta gente che ama ancora comprare riviste e quotidiani, scambiando due chiacchiere. Ed è la dimostrazione che l’editoria cartacea non ha perso ancora la battaglia contro l’editoria digitale. Forse basta amare il proprio lavoro e armarsi di tanta pazienza e gentilezza. Oscar mi confessa che “l’umore della maggior parte delle persone è sotto i tacchi”. Ovviamente. Accanto all’edicola c’è un panificio gestito da egiziani. Si è creata una breve coda silenziosa formata da coloro che non riescono a rinunciare al pane fresco. Io sono tra quelli. Lo voglio comprare, anche se non tutti i giorni, proprio perché i miei genitori mi hanno spesso raccontato di quando durante la guerra mancavano il pane e la farina. “E come mi sembrava buono quel tozzo di pane nero che ci davano i tedeschi nel campo di lavoro nel Brandeburgo”, ricordava spesso mio padre. Mentre attendo il mio turno ecco che arriva una donna anziana, con la mascherina, che trascina il carrello della spesa. La cosa che mi rattrista di più, in questi giorni, è constatare che tanti vecchi non sono in grado di fare la fila davanti agli alimentari perché le gambe non reggono. Le dico che se vuole può mettersi davanti a me. E poi mi volto indietro e chiedo se tutti sono d’accordo. Nessuno protesta. E la situazione, se possibile, mi sembra ancor più surreale…

Stefania Chines