Nicoletta Pol Brenna: “Milano è una città splendida, particolare e complessa, che merita la creazione di un’area metropolitana a gestione separata”

Milano è femminaNews

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E’ una vera e propria “gattara” milanese, cresciuta attraverso radici familiari che affondano nelle terre toscane, venete e anche d’oltre confine, quelle svizzere. Ha respirato fin da subito l’aria della comunicazione e dell’impresa, con una madre giornalista e un padre dirigente d’azienda. E oggi, Nicoletta Pol Brenna è una delle professioniste di Relazioni Pubbliche più stimate e apprezzate del panorama cittadino con un’attività davvero ad ampio raggio, che va dall’organizzazione di eventi per promuovere aziende, marchi, associazioni e artisti a seminari e convegni medico-scientifici, in particolare legati ai fenomeni giovanili del bullismo (reale e virtuale) e delle dipendenze da droga e alcol, all’impegno nell’ambito della raccolta di fondi e nella formazione.

Cara Nicoletta, tu vivi e lavori da sempre a Milano e ne canti spesso le lodi. Sei una persona adatta, quindi, a tracciarne un profilo. Com’è cambiata e come sta cambiando Milano, secondo te?

“Innanzitutto, grazie per la definizione di “gattara”. E’ vero, adoro i gatti, letteralmente. Ne ho sempre avuti e raccolti sin dalla mia primissima infanzia. Tornando alla tua domanda posso dirti che ho visto l’evoluzione di una città che prima puntava molto sull’apparenza della “Milano da bere” degli anni ‘80, una città che correva come un bolide, dal punto di vista finanziario, industriale ed economico, senza però aver altrettanta attenzione agli aspetti morali ed etici che venivano relegati al background, sacrificati sull’altare del dio denaro.
Negli ultimi anni ho colto, invece, un’attenzione crescente e sempre più diffusa alla necessità di un maggior rigore morale ed etico, una richiesta di liceità e rispetto, anche se sicuramente in una metropoli quotidianamente affannata, che va di corsa, non è facile raggiungere un obiettivo del genere”.

Tu lavori nel mondo della comunicazione, un osservatorio privilegiato sulla città. Ma è davvero privilegiato, questo osservatorio?

“Ritengo un privilegio potermi occupare di comunicazione perché ho l’opportunità di incontrare persone di estrazione completamente differente e variegata e di poter vedere quello che mi circonda anche attraverso punti di vista differenti. Amo comunicare, ma amo prima ancora ascoltare quanto le persone hanno da dire, quanto sentono e pensano. Credo sia questo il miglior modo per poter poi comunicare quanto viene richiesto in maniera interessante e non banale. Milano offre moltissime opportunità di entrare in contatto con realtà diverse; chi è curioso, interessato, desideroso di conoscere e scoprire ha un’infinità di possibilità, così come la comunicazione può spaziare praticamente a 360 gradi, con la fortuna anche di beneficiare di competenze profonde, disponibili in moltissimi settori, dalla cultura alla moda, dalla finanza all’enogastronomia”

Nicoletta Pol Brenna

Qual è, a tuo avviso, lo stato dell’arte, riguardo alla comunicazione in ambito cittadino?

“A Milano ho avuto la fortuna di incontrare menti veramente illuminate, così come ciarlatani che non si curano dei contenuti e si limitano ad una forma brillante ed effimera. Ad oggi, l’esigenza è quella di raggiungere una maggiore profondità, non di limitarsi alla superficie, ma i tempi della comunicazione, anche solo rispetto a pochi anni fa, sono cambiati radicalmente. C’è veramente bisogno di formare nuovi esperti, che abbiano una maggiore capacità di comprendere a livello culturale e che possano poi divulgare in modo corretto e non credo sia semplice. E’ un percorso, un bisogno che cozza con la super specializzazione da una parte, tanto quanto con la superficialità e l’obsolescenza dei programmi formativi, anche universitari, dall’altra. Moltissimi comunicano, ma non credo che tutte le competenze siano adeguate e al passo con le necessità di oggi. La specializzazione settoriale certamente è molto importante, ma soprattutto una buona base culturale, l’apertura e la capacità di guardare avanti e scorgere le interconnessioni possibili, le affinità e i filoni nascenti che saranno in grado di svilupparsi nel prossimo futuro, a mio parere, sono e saranno i punti di forza di chi è e sarà in grado prossimamente di comunicare fornendo un reale valore aggiunto”.

E quali contributi ha portato, secondo te (se lo ha portato) lo sviluppo dei Social Network?

“I Social Network hanno modificato profondamente quelli che erano i capisaldi della comunicazione tradizionale. Sono diffusi in maniera capillare e oggi tutti, dall’adolescente all’anziano, hanno accesso a una grandissima quantità di informazioni. La quantità dell’informazione però non necessariamente significa che sia anche di qualità; a mio parere è fondamentale che le future generazioni siano in grado di verificare l’attendibilità di quanto viene loro messo a disposizione dai nuovi mezzi. Da qui l’importanza di una cultura vera, che insegni a ragionare a pensare, più che ad immagazzinare semplicemente concetti che poi cadono nel dimenticatoio. Insegnare a pensare autonomamente, un pensiero critico e consapevole, piuttosto che un accumulo di nozioni predigerite che lasciano il tempo che trovano. Questo è sicuramente il compito degli educatori, ma altrettanto dovrebbe esserlo per tutti coloro che si occupano di comunicazione. Dicevo prima che i capisaldi della comunicazione sono cambiati profondamente: la carta stampata, i quotidiani, che erano il mezzo principe per l’informazione e la comunicazione sino a qualche anno fa (anno, non decennio), sono stati pressoché soppiantati dalla cultura digitale o perlomeno rischiano di esser messi definitivamente in secondo piano, rispetto alle testate digitali o anche alle più diffuse piattaforme social. Il tempo di “scroll” di un telefonino ha ridotto dai 30/60 a 18 secondi lo spazio temporale in cui veicolare un’informazione, pubblicitaria o meno che sia. Tutto questo ha portato a una rivoluzione nel modo di comunicare, sia a livello commerciale che a livello informativo, che era inimmaginabile solo poco tempo fa”.

Milano ha sempre avuto un respiro più ampio dei suoi confini. Tutto quello che la riguarda interessa sia a livello nazionale che internazionale. Pensi che sia in grado, anche oggi, di interpretare questo ruolo? Oppure è stata “colonizzata”, nel senso che questo interesse esterno ha prodotto investimenti economici e finanziari che hanno portato imprenditori, finanzieri e banchieri ad impadronirsene?

“Milano è una città popolata da gente operosa e concreta, che nei secoli ha affrontato dominazioni molteplici (spagnoli, francesi, Maria Teresa d’Austria, truppe napoleoniche e chi più ne ha più ne metta), ma credo che lo spirito meneghino sia profondamente radicato nei suoi abitanti, autoctoni o di importazione che siano. Milano è una metropoli europea, forse la prima, se non l’unica, al momento, in Italia, con molti aspetti sicuramente da migliorare, ma con altrettanti punti di forza che possono e devono essere capitalizzati. Imprenditori, finanzieri e banchieri trovano da sempre un terreno fertile nella nostra città, ma credo siano ben lungi dal colonizzarla. Le radici di Milano sono molto profonde: già prima dell’arrivo dei Romani, Mediolanum era un insediamento paragonabile all’Urbe, con buona pace delle altre capitali europee, che aveva sviluppato una propria cultura operosa. La concretezza, la praticità, il pragmatismo sono le caratteristiche principali di chi abita e lavora qui. Certamente fanno sorridere, ma i milanesi, consci comunque del proprio valore e delle risorse che sanno mettere in campo durante i periodi meno facili e floridi, sono anche molto auto ironici, pur proseguendo a testa bassa a raggiungere i propri obiettivi. Questo non significa che tutti siano accolti a braccia aperte: Milano sa anche essere una città chiusa e scostante, soprattutto nei confronti di chi non si adatta alla mentalità quasi calvinista che vede nell’insuccesso (personale o lavorativo) una punizione verso chi, probabilmente, non si è impegnato a sufficienza e non ha saputo sfruttare le opportunità offerte”.

Nicoletta Pol Brenna

Milano ospiterà insieme a Cortina le Olimpiadi Invernali del 2026. Sarà una grande opportunità per la città, dopo l’Expo del 2015, o assisteremo ad un nuovo tentativo di saccheggio economico e finanziario?

“Milano è una grande signora e come tale sono sicura che brillerà e saprà cogliere il meglio dalla fantastica opportunità che le viene offerta con le prossime Olimpiadi Invernali del 2026. Il legame con Cortina, la perla delle Dolomiti, veniva anche ironicamente ripreso nei cinepanettoni, ma è innegabile e forse indissolubile, così come l’orgoglio per saper fare e realizzare qualcosa di concreto, grande e bello. Da Expo i milanesi hanno colto ed imparato molto, nel bene e nel male; un secondo appuntamento di rilevanza mondiale, con la copertura mediatica che seguirà ogni fase degli eventi, con gli interessi economici che saranno coinvolti, di sicuro darà una spinta al volano di ripresa non solo milanese, mi auguro, ma anche di buona parte del Paese. Con altrettanta certezza arriveranno anche gli avvoltoi e gli sciacalli, che per il proprio tornaconto cercheranno di uscire dal terreno della legalità, ma credo rimarranno comunque un fenomeno marginale proprio per l’internazionalità dell’evento, che vedrà puntati gli occhi di molti su quanto verrà realizzato. E anche una tempistica con una scadenza breve, per le opere che sarà necessario realizzare o implementare, voglio credere che agirà da deterrente per gli interessi poco limpidi”.

Ritieni Milano una città a misura di donna? Ambiti come la cultura, la sicurezza e il lavoro privilegiano la condizione femminile?

Milano è una città tosta (perdonami l’aggettivo un po’ grossolano) e altrettanto lo sono le donne milanesi. Qui impari a correre e organizzarti da quando sei alla scuola materna, cresci con gli orari e l’agenda e così prosegui nella vita, sia da lavoratrice fuori casa che da casalinga. Perfino le nonne a Milano sono sprint! Milano cerca di essere attenta alle esigenze delle donne, ma per essere proprio onesta, nonostante sia avanti rispetto ad altre realtà, è ancora lungi dall’essere una città a misura di donna. La flessibilità pressoché inesistente degli orari di lavoro fuori casa, le distanze per gli spostamenti e le relative tempistiche, il sottodimensionamento delle strutture pubbliche, soprattutto per i più piccoli, che a cascata si riflette sull’organizzazione del quotidiano per una mamma, i costi dei servizi di supporto, perché in moltissimi casi la richiesta è superiore a quanto offerto dal settore pubblico e quindi è necessario rivolgersi al privato, per la gestione dei bambini (ma penso anche ai nostri anziani), rendono la vita di una donna a Milano decisamente una guerra di trincea. Se c’è un intoppo, uno sciopero, un imprevisto, un malanno, bisogna aver pronti piani alternativi degni di uno stratega militare. Certo, è inutile negare che Milano offra moltissime opportunità a uomini e donne, ma è altrettanto vero che a Milano molto spesso una donna lavoratrice si trova davanti a un bivio doloroso nel momento in cui diventa mamma. Il part time, così come lo “smart working”, il nido aziendale, sono bellissime iniziative, ma ancora poco diffuse e il mondo del lavoro non ha ancora assimilato concetti che invece sono ampiamente diffusi in altri Paesi. Gli orari scolastici non incontrano le esigenze del sempre crescente numero di donne lavoratrici fuori casa (pensiamo ad esempio alle vacanze estive e ai centri vacanze comunali che nel mese di agosto sono chiusi) e non tutti i nuclei familiari sono in grado di affrontare i costi delle alternative, perché Milano è una città ricca, ma è anche una città molto cara. Per quanto riguarda la sicurezza, infine, credo che Milano sia in linea con le altre città di pari dimensioni. Sicuramente nei piccoli centri, dove la prossimità porta a conoscere i propri concittadini, la sicurezza percepita è maggiore, mentre in una metropoli come Milano è sufficiente fare una o due fermate di metropolitana per garantirsi l’anonimato, con i pro e i contro che questo comporta. Le periferie sono un tallone d’Achille (zone di minor richiamo turistico rispetto al Centro, che viene curato con maggior attenzione dal Comune), nelle quali spesso gli abitanti si sentono abbandonati e poco sicuri. Mi auguro che il piano di riqualificazione delle periferie non si limiti ad essere uno slogan pubblicitario ed elettorale, ma che venga realizzato con serietà per consentire agli abitanti di tutte le zone della città di sentirsi considerati dalla municipalità. Di certo il percorso da fare e i problemi da risolvere sono ancora molti”.

Che opinione hai del fenomeno dell’immigrazione a Milano?

Milano è una città che accoglie, ma che richiede anche che i nuovi arrivati siano capaci di adattarsi e accettarne le regole. E’ sicuramente un tasto molto dolente quello dell’immigrazione e non solo all’interno della nostra città. Io credo che manchino o che non siano attuate in modo corretto le politiche di accoglienza che consentano agli stranieri, quale che sia la loro provenienza, di integrarsi andando a ridurre le difficoltà che inevitabilmente derivano dalle differenze culturali. Una scolarizzazione e un’alfabetizzazione rivolte anche agli adulti, non solo agli uomini, ma anche alle donne, che sia pervasiva e non aggirabile, una gestione dell’accoglienza che non ghettizzi chi arriva, ma che nemmeno metta a disagio le comunità credo che dovrebbero essere le basi per la gestione di un flusso migratorio sensato verso il nostro Paese. Non credo sia un argomento che possa essere affrontato da una singola città, ma che richieda invece un’ottica di gestione a livello nazionale, che poi si possa riflettere nel locale. Per il momento, le politiche di accoglienza attuate nel territorio milanese non mi paiono ben interpretate e tanto meno ben percepite dai cittadini, che spesso si trovano a fronteggiare quello che viene considerato come un afflusso eccessivo e non gestito. Passare poi dal disagio percepito al senso di insicurezza e all’ostilità è un passo veramente breve, che è lontano dalla mentalità dei milanesi, ma che inevitabilmente sta accadendo”.

Per concludere, Nicoletta: Come vedi il futuro di questa città, in relazione anche all’attuale situazione italiana e internazionale?

“Milano è una città splendida, unica e in crescita, tanto che vedrei bene la creazione di un’area metropolitana a gestione separata, un po’ come a Londra. E questo non per dividerla dal resto del tessuto lombardo o nazionale, ma proprio perché le esigenze di gestione di un’area così particolare e complessa sono differenti rispetto a quanto la circonda. Mi auguro che le future politiche la aiutino a risolvere i problemi che in parte ne offuscano la vivibilità. Per il resto, credo che pur nella difficoltà del quotidiano Milano sia una bellissima città in cui vivere”.

Ermanno Accardi (giornalista e scrittore)