Nasce il Museo virtuale della Radioattività. Tra gli ideatori il fisico milanese Franco Cioce: “Vogliamo divulgare la conoscenza di un universo variegato e pressoché sconosciuto ”

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Franco Cioce, Gabriella Guarino, Filippo Silvani, Fabiana Lucia Tomba, Francesco Romano e Valeria Ciriello. Sei persone e un denominatore comune: la professione, unita a una grande passione per il proprio lavoro. Questa è la miscela umana e culturale che ha prodotto il Museo della Radioattività, una straordinaria esposizione virtuale fortemente voluta dagli autori per divulgare al meglio la conoscenza di un universo variegato e pressoché sconosciuto. Suddiviso in nove sale tematiche, questa misteriosa e affascinante vetrina prova a mostrare e a far comprendere tutte le applicazioni naturali o artificiali che coinvolgono, appunto, il materiale radioattivo. “I visitatori estranei a questo mondo dovranno aspettarsi di trovare, leggere e vedere informazioni che non avrebbero mai creduto esistessero”, esordisce Franco Cioce, fisico ed esperto di radioprotezione, l’unico componente milanese del team del museo. “Chi si aggirerà tra le stanze virtuali della nostra iniziativa potrà ammirare le numerose fotografie e conoscere le descrizioni e gli aneddoti che accompagnano la visita. Com’è immaginabile, il museo è costantemente “working in progress” per gli aggiornamenti che vengono valutati e inseriti di volta in volta”.

Etichetta di un apparecchio industriale che indica la presenza di materiale radioattivo


Come nasce la vostra passione per la radioattività e di conseguenza l’idea di realizzare un vero e proprio museo?

“Il nostro mestiere (ingegneri e fisici, esperti di radioprotezione) ci fa lavorare quotidianamente con il materiale radioattivo e questo suscita sempre la curiosità di chi ci conosce. Così, nei momenti conviviali, il discorso va sempre a finire sulla radioattività, che la maggior parte delle persone conosce solo attraverso i media o le notizie, che dobbiamo dire sono spesso travisate e disinformanti. Di conseguenza, all’inizio della pandemia di Covid, ho proposto ai colleghi di realizzare, appunto, questo museo virtuale, nel quale riportare tutta la conoscenza e l’esperienza in modo divulgativo, proprio come si faceva quando era possibile tenere seminari conoscitivi. La possibilità di arrivare a un pubblico molto più ampio e variegato, in modo assolutamente imparziale (noi raccontiamo i fatti passati e presenti senza giudicare e cercando di non influenzare) ci ha convinti sulla bontà del progetto. L’auspicio è che ci venga riconosciuta l’originalità dell’iniziativa. Se lasceremo i visitatori a bocca aperta saremo ovviamente molto soddisfatti”.

Avete previsto di creare un rapporto didattico con le scuole di ogni ordine e grado?

“Certamente. Finora alcuni di noi hanno dato la disponibilità gratuita per tenere seminari tematici nelle scuole secondarie, dalla radioattività quotidiana agli alimenti e i prodotti irraggiati. La didattica nelle scuole medie ed elementari è sicuramente più difficile, a causa della complessità dell’argomento e soprattutto dell’invisibilità (chiamiamola così) degli attori, i nuclidi radioattivi, ma con l’aiuto dei rispettivi maestri e con gli opportuni esempi siamo sicuri che riusciremo a parlare anche ai bambini. Adesso, con l’apertura del museo, ci sono state rivolte richieste per tenere incontri conoscitivi nelle scuole superiori e ci stiamo organizzando in tal senso”.

Goccia di vetro con uranio naturale

Perché il tema della radioattività è sempre più attuale?

“Purtroppo il tema è molto sentito per gli sviluppi che le attuali vicende di guerra, oltre alle minacce neppure velate, portano al rischio di un nuovo utilizzo di armi atomiche. E anche in questo caso alla disinformazione ne consegue un atteggiamento diffidente per tutto quello che ricorda la radioattività, anche se in realtà, attraverso il museo, dimostriamo che circonda ognuno di noi da quando esiste l’Universo. Anche i tre incidenti nucleari occorsi nel tempo e i relativi commenti, spesso mal spiegati, non hanno aiutato a una corretta comprensione del fenomeno, che comunque fa parte della nostra vita. Così com’è successo per le etichette di acque minerali, che prima vantavano la normale presenza di radioattività, dopo l’incidente di Chernobyl nessuno comprava più le bottiglie con queste etichette. È bastato togliere la scritta e il mercato è ripreso. D’altra parte non è obbligatorio riportare questo dato. Sulle etichette ora non c’è più l’indicazione della radioattività presente, ma questa continua ad esserci perché è naturale che ci sia, visto che l’acqua sgorga dal terreno dove è normalmente presente l’uranio e porta con sé minime presenze di innocua radioattività. Tutto ciò che riguarda la radioattività è strettamente e rigorosamente controllato da molti enti governativi, a garanzia della sicurezza e della salute dei consumatori”.

Quanto influisce la grande informazione sulla conoscenza della radioattività?

“La grande informazione è importantissima, ma deve osservare le regole non scritte della capacità di coinvolgimento di chi ci ascolta. L’informazione deve essere vera ed eticamente corretta; bisogna parlare mettendosi nei panni dell’interlocutore, al quale bisogna trasmettere (e non insegnare) i concetti e infine bisogna mettersi al livello del discente. Utilizzare termini e formule di stretta Fisica o Ingegneria Nucleare serve solo ad alimentare quel clima di diffidenza e di incomprensione che già fa parte della materia. Tutti coloro che parlano alla popolazione di radioattività devono imparare a fare esempi semplici e comprensibili per arrivare al cuore di chi ci ascolta o ci legge”.

Capsula di 1,5 cm di diametro contenente gas radioattivo utilizzato per misure di spessore di film plastici

Ha ancora senso parlare di energia nucleare nel nostro Paese? E se sì, quali sono gli ambiti in cui potrebbe essere utilizzata al meglio e in sicurezza?

“La risposta è sì, soprattutto per la richiesta energetica che cresce sempre di più da parte della popolazione e di tutte le attività industriali e di servizi. Se vogliamo abbandonare l’utilizzo dei fossili (petrolio) e dei derivati (gas) non potremo pensare alla sola energia fornita dal sole, dal vento o dall’acqua. L’energia nucleare viene considerata una delle risorse a minor impatto ambientale, visto che non è fonte di emissioni inquinanti, responsabili del surriscaldamento climatico. Se vogliamo arrivare ad avere solo auto elettriche (eliminando le vetture a combustione avremo in circolazione quasi 40 milioni di auto) dovremo pensare anche ad alimentarle e le attuali centrali elettriche non sono sufficienti per la futura richiesta. Gli ambiti di utilizzo delle future centrali spaziano dalle abitazioni alle realtà industriali più energivore. Se poi pensiamo di realizzare macchine alimentate ad idrogeno dobbiamo sapere che la sua produzione richiede notevoli quantità di energia, che non potrà essere garantita se non è costante. E il sole e il vento non lo sono”…

A proposito di sicurezza: qual è il livello attuale (anche di conoscenza) in Italia e nel mondo?

“Incredibilmente, l’Italia ha sfornato menti brillanti e illuminate, che hanno realizzato all’estero progetti di centrali nucleari di elevata sicurezza. E ancora lo fanno. Dai “ragazzi di via Panisperna” (tra i quali emergevano premi Nobel come Enrico Fermi ed Emilio Segrè) fino al Nobel Carlo Rubbia, la conoscenza della Fisica e della sicurezza (compresa la nostra radioprotezione) l’abbiamo sempre esportata. La sicurezza è l’obiettivo primario perseguito da tutti gli attori coinvolti nel nucleare e deve comprendere aspetti che coinvolgono anche l’antiterrorismo. L’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica è un supporto determinante in tal senso”.

Orologio del 1940 con le lancette pennellate di radio e strumento che indica la radioattività presente

Il territorio milanese (e più in generale lombardo) si presta per l’installazione di una centrale di nuova generazione?

“Milano ha già avuto un piccolo reattore nucleare di ricerca (al Centro Studi Nucleari Enrico Fermi) che non forniva energia, ma veniva utilizzata per scopi di ricerca e sperimentali. Chiaramente, una centrale nucleare vera e propria, a Milano, non è assolutamente fattibile, anche perché, secondo gli attuali schemi costruttivi, richiede grandi quantità di acqua e i bacini idrici presenti in Lombardia dovrebbero uniformarsi anche agli spazi necessari per la costruzione. Le future centrali nucleari (chiamate di quarta generazione) perseguono il concetto modulare: infatti, si chiamano SMR (Small Modular Reactor, piccoli reattori modulari), al punto che vogliono arrivare ad essere trasportabili e posizionabili addirittura su camion. In questo modo, anche in funzione del “combustibile nucleare” utilizzato, viene a mancare il concetto di “luogo strategicamente sensibile”. A mio avviso, però (e come ci insegnano in altri Paesi europei), la costruzione è resa più semplice se c’è l’approvazione della popolazione. E questa passa, necessariamente, dalla conoscenza e dal coinvolgimento”.

Ermanno Accardi (giornalista e scrittore)

Museo della radioattività (museodellaradioattivita.it)