Morire a 14 anni in bicicletta nell’inferno cittadino: quando la fiducia dei giovani è tradita dalle autorità

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Poche ore fa, qui a Milano, andando a scuola in bicicletta, un ragazzino di 14 anni è stato investito dal tram ed è morto. La dinamica, il lutto cittadino proclamato dal Sindaco, tutte le parole che seguiranno, i “mai più deve accadere”, la melensa retorica, tutto l’accampamento di inutili discorsi già visti e sentiti, hanno la stessa forza dell’urlo di uno scoiattolo nella savana sterminata. La verità (io non so come sia nelle altre città) è che Milano è un inferno, e quello che è accaduto oggi è già accaduto e accadrà di nuovo e che non “andrà tutto bene” e “ne usciremo migliori” perché questa città è una metastasi a cielo aperto, perché è solo questione di culo se non ti accade qualcosa, qualsiasi cosa essa sia, di tremendamente spiacevole. Non è portare sfiga o tirarla, le frasi fatte degli imbecilli che come le mucche guardano il treno che passa, è che a ogni incrocio, in ogni momento, tutto può accadere. Le autorità hanno iniziato a dire di usare la bici, di salvare il pianeta, la micro-mobilità elettrica, sì, tutto bello, poi le stesse autorità, che hanno spedito nell’inferno del traffico i ragazzini e le ragazzine, come sempre i più ingenui, si stracciano le vesti, dichiarano il lutto cittadino e chi si è visto si è visto. Pelo sullo stomaco? Sì. Vergogna? No. Per quando mi riguarda, utilizzare la bicicletta a Milano vuol dire cercare il suicidio, soprattutto quando ti allontani dal Centro. Io l’ho usata per molti anni, ma ora ho smesso. E sulla canna della bici, come sui pacchetti delle sigarette, dovrebbero scrivere “nuoce gravemente alla salute”, soprattutto se hai 14 anni e ti sei fidato di questa città…

Luigi Antioco Tuveri (scrittore, informatico e allenatore di calcio giovanile)