“Ho conosciuto Salvatore Quasimodo la sera del 28 maggio 1936, a casa del mio professore di Storia dell’Arte. A serata terminata, egli mi accompagnò a casa. A piedi, lungo il viale alberato della circonvallazione: da Porta Vittoria a Porta Venezia, lungo la via Senato, che da un lato ha la Villa Reale e dall’altro la lunga cancellata dei Giardini Pubblici. Cominciò subito a parlarmi “da poeta”. Io allora attraversavo un difficile e travagliato momento della giovinezza, dopo amori platonici e impossibili. Desideravo innamorarmi finalmente e pienamente, volevo essere attratta in eguale misura dal fisico, dal cuore e dalla mente. E da Salvatore Quasimodo ebbi l’impressione di essere capita quale veramente ero. Per me già da quella prima sera, Salvatore Quasimodo divenne un’ossessione, dovevo pensare a lui, non potevo più liberarmene”.
“Un pomeriggio di settembre, pochi mesi dopo il nostro primo incontro, al quale molti altri erano seguiti. Ci trovavamo nel suggestivo quadriportico di Sant’Ambrogio. Eravamo particolarmente sereni, nonostante il nostro legame che andava rafforzandosi non ci permettesse di immaginare un avvenire facile. Inoltre, Quasimodo era già sposato… Ma ad ogni modo mi sentivo in armonia, fuori e dentro di me. Ricordo che indossavo una giacca tailleur di un verde intenso, rifinita con il collo di velluto marrone come la gonna a profonde pieghe (ero elegante senz’altro, quasi da passerella!). Egli mi guardava e a un certo punto mi prese la mano, mi condusse dentro la Basilica, mi fece inginocchiare e disse, sempre stringendo la mia mano: “Ecco, ora Dio ci vede, ci comprende, e ci unisce in matrimonio!”. Sant’Ambrogio, il nostro rito matrimoniale senza sacerdote…
Giovanna Ferrante (giornalista e scrittrice milanese)