I cimiteri scomparsi della nostra città. L’affascinante storia delle cinque “foppe” soppresse dopo l’apertura del Maggiore e del Monumentale

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Oggi conosciamo soprattutto il Maggiore e il Monumentale, ma Milano, nel corso della sua lunga storia, ha avuto moltissimi cimiteri. Fin dal sedicesimo secolo, si hanno notizie di tre camposanti nel Brolo (ad uso della Chiesa di Santo Stefano e di due ospedali limitrofi), di uno di fronte la Basilica di San Lorenzo, detto “della cortina” (i cui resti vennero scoperti e studiati durante alcuni lavori di restauro delle case che si affacciano sul colonnato romano), di uno in San Pietro in campo lodigiano e di uno di fronte alla chiesa di Santa Eufemia. E poi altri quattro erano presso la Chiesa di Sant’Antonio, a San Carpoforo, a Santa Maria della Scala e l’ultimo nell’attuale zona retro-absidale del Duomo, un tempo detta “del Campo Santo”, dove venivano seppelliti anche gli operai e gli artisti che lavoravano per la Veneranda Fabbrica.

Nella seconda metà dell’ottavo secolo, invece, ne vennero allestiti altri cinque, soppressi, poi, negli anni successivi all’apertura del Cimitero Monumentale e del Cimitero Maggiore. Ed è su questi che si concentra, qui, la nostra attenzione.

CIMITERO DI SAN ROCCO AL VIGENTINO
Era uno dei cinque cimiteri collocati fuori dalle porte cittadine. Venne soppresso nel 1826, nonostante alcune sepolture furono eccezionalmente ammesse anche dopo la chiusura. Trovarono, infatti, sepoltura, fra gli altri, durante le Cinque Giornate del 1848, alcuni soldati austriaci uccisi in uno scontro avvenuto poco distante dal cimitero. I morti cominciarono ad essere seppelliti lì nel mese di marzo del 1783. Fu detto di San Rocco perché era situato proprio dietro la vecchia chiesa dedicata al santo. L’entrata principale probabilmente si trovava lungo l’attuale via San Rocco, ad Ovest era delimitato dalla vecchia Roggia Bocchetta (sostituita, in seguito, dall’odierna via intitolata alla matematica e teologa Gaetana Agnesi, che proprio qui trovò sepoltura, nel 1799), a Sud chiudeva lungo l’attuale via Piacenza e i muri ad Est sorgevano dove oggi sorgono vari edifici. Secondo i rilievi comunali dell’epoca, la sepoltura con data più antica era di tal Gaetano Tamburini, morto settantanovenne nel marzo del 1777. L’ultima tomba ufficialmente registrata, invece, fu quella di Carlo Frapolli, cavaliere della Corona Ferrea, morto il 31 dicembre 1827. Tra le sepolture illustri, Giuseppe Carcano (1767-1824), patrizio milanese, che fece erigere il Teatro Carcano nel 1803, su disegno del Canonica. Nel 1875, infine, durante i lavori di bonifica della zona, si traslarono i cadaveri nel nuovo Cimitero Maggiore, recuperando anche le lapidi e i monumenti ancora in buone condizioni.

CIMITERO DEL GENTILINO

Era spesso citato anche come Cimitero di Porta Ticinese o Cimitero fuori di Porta San Celso. Di forma rettangolare e con una chiesetta annessa, venne aperto nel 1787 ed era, in pratica, un’espansione di quello di San Rocco al Vigentino, sempre “tutto esaurito”. I tempi di realizzazione e di apertura furono relativamente rapidi (per via del pochissimo dispendio di denaro) e per questo appariva privo di elementi artistici e decorativi. Fu solo nel 1820 che iniziarono ad essere elevate alcune cappelle per le sepolture di famiglie e di ordini religiosi. Dopo il 1867 (e in seguito anche ad alcuni casi di colera e vaiolo), cominciarono progressivamente le brevi chiusure, fino a quella definitiva del 1895, con lo svuotamento delle fosse e il trasporto dei defunti sia al Monumentale sia al Maggiore. Oggi quell’area ospita il Parco della Resistenza. Tra le sepolture illustri, si ricordano il sacerdote e naturalista Ermenegildo Pini (1739-1825), il medico e saggista Giuseppe Giannini (1774-1818) e il pittore e letterato Giuseppe Bossi (1777-1815).

CIMITERO DELLA MOJAZZA

Storicamente chiamato Cimitero di Porta Comasina e poi di Porta Garibaldi, venne inizialmente aperto nel 1685 presso la cascina Mojazza (da cui il nome, che in milanese indica un terreno paludoso), in un’area individuabile oggi fra le vie Jacopo Dal Verme, Cola Montano, Angelo della Pergola e piazza Archinto, e in seguito trasferito, nel 1786, in un’area corrispondente all’attuale piazzale Lagosta e faceva capo alla Chiesa di Santa Maria alla Fontana. Le sepolture iniziarono nel 1787: tra queste, ve ne furono alcune illustri, quali quelle di Cesare Beccaria, Giuseppe Parini, Melchiorre Gioia, Francesco Melzi d’Eril, Giuseppe Prina e Barnaba Oriani. Venne definitivamente soppresso nel 1895 e le sepolture traslate al Cimitero Maggiore.

Il Cimitero della Mojazza. Vi furono sepolti, fra gli altri, Cesare Beccaria, Giuseppe Parini, Melchiorre Gioia e Francesco Melzi d’Eril,

CIMITERO DI SAN GREGORIO
Detto anche Foppone di San Gregorio (dove ebbero sepoltura i primi morti della peste del 1576) o di Porta Orientale, doveva il suo nome alla chiesa attigua, nell’omonima via, una traversa di Corso Buenos Aires. Si estendeva in profondità proprio dietro il Lazzaretto, fino alle attuali vie Settala, Benedetto Marcello e Boscovich. Per questo, venne menzionato anche nei “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni. Anche per quello di San Gregorio, i lavori vennero fatti al risparmio, tanto da aver bisogno continuamente di manutenzione strutturale. Vi trovarono l’eterno riposo alcuni personaggi del tempo, tra i quali i poeti Carlo Porta (1775-1821) e Vincenzo Monti ((1754-1828), il medico Luigi Sacco ((1769-1836) e il pittore Andrea Appiani ((1754-1817). Venne chiuso definitivamente nel 1883 e i corpi rinvenuti furono spostati al Cimitero Monumentale. In seguito, su quell’area furono costruiti palazzi e strade. Nel 2014, durante alcuni scavi nella zona, sono affiorati alcuni resti di vecchie sepolture.

CIMITERO DI PORTA VERCELLINA
Prima Foppone della Chiesa di San Giovannino alla Paglia o Fopponino di Porta Vercellina (foppa in milanese vuol dire fossa) e poi Cimitero di Porta Magenta, si trovava subito fuori dal bastione spagnolo dove oggi c’è piazzale Aquileia. Anche in questo caso, si trattava già di un piccolo cimitero, costruito nel 1576 (in piena epoca spagnola) per accogliere i primi morti della terribile peste di San Carlo e poi ampliato nel 1787. La sua area aveva al centro l’attuale incrocio tra le vie Verga e Giovio. Nel 1825 venne ulteriormente ingrandito e continuò ad essere utilizzato senza sosta fino al 1868, per poi essere ripristinato dal 1875 per accogliere nuove sepolture. Venne chiuso definitivamente nel 1885 e le ossa ritrovate furono trasferite al Cimitero Maggiore nel 1912. La Cappellina dei Morti (datata 1640) è an-cora oggi ben visibile sull’angolo fra piazzale Aquileia e via San Michele del Carso e che risulta interessante per la tipica impostazione secentesca del culto dei morti. È decorata, infatti, da tre teschi (di cui uno è andato per-so) e provvista, oltre la grata che la chiude, di un piccolo ossario a terra, contenente alcuni teschi appartenuti ai defunti della peste. Sulla facciata campeggia, ancora ben leggibile, il “memento mori” che da quelle medesi-me ossa viene rivolto ai passanti a ricordare il destino che tutti ci accomuna: “Ciò che sarete voi noi siamo adesso, chi si scorda di noi scorda sé stesso”. Tra le sue sepolture illustri si ricordano il celebre architetto Luigi Canonica (1765-1844) e lo scienziato Carlo Amoretti (1741-1816).

(Immagini tratte dal web)