Ieri sera il Milan ha raggiunto un traguardo meritato quanto sospirato, ma qui non voglio parlare di celebrazioni, di chi è stato il migliore, il più forte, no. Voglio parlare di noi tifosi, che lo abbiamo sostenuto sempre e comunque.
Il discorso riguarda i rossoneri, ma potrebbe valere per il calcio in generale. Vivo a Milano e tifo Milan. Ieri sera, allo stadio di Bergamo, c’erano la mia anima e la mia mente, totalmente coinvolte. Ero divorato dalla tensione, mi rendevo conto che in gioco c’ero io, non si può liquidare questo soltanto come un’emozione, o addirittura follia. No, è qualcosa di speciale che mi lega ad altri che provano gli stessi sentimenti, che condividono questo paesaggio retorico insieme a me.
Il calcio, in alcuni momenti, è totalizzante. Prevede la sconfitta, delle “ferite”. Ed è per questo, quando si vince e si è stremati e con l’adrenalina in circolo, che si rimane un po’ intontiti.
C’è una grande differenza tra come ho visto io la partita (assalito dal demone del Milan) e chi invece se la guarda come se fosse un film di 007. Emozionante, avvincente, spettacolare, ma con le trombette finte.
La magia del calcio è un’altra cosa: cadere e poi risalire, credendoci, stando lì a mangiarsi le unghie, a non voler vedere quando c’è il rigore, ad abbracciare chi è vicino a te e sentire che gli vuoi bene. Essere felice perché tuo figlio esulta con te. Seguire le partite con le amiche e gli amici.
Atalanta-Milan 0-2 non è stata solo una partita di calcio, è stata molto di più. È stato un estratto delle nostre vite, un trattato di sociologia su come ci raccontiamo, a noi stessi e agli altri. E ci sorprendiamo per quello che abbiamo vissuto…
Marco Dell’acqua (giornalista e scrittore)
(Immagine di copertina tratta dal web)