Cosa fare ad Agosto a Milano (parte seconda)

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Desenzano del Garda, 11 agosto 2012

“Commissario Ferlito! Sei ancora qui? Ma basta! Fa un caldo infernale, le zanzare ci stanno massacrando e tu sei ancora qui. Sei il poliziotto più sudato d’Italia e anche il più puzzolente. Vai a casa e smettila di scervellarti. Ne stai facendo una questione personale. A chi vuoi che interessi la sorte delle troie che ci infestano e ci impestano. Lo sanno benissimo anche loro quali sono i rischi del loro schifoso mestiere. Finiscila! Sei l’unico che sta ancora indagando su questi casi”.
Le parole uscite dalla bocca della collega lo fecero arrabbiare, erano veramente perfide e cattive, soprattutto se pronunciate da una donna. Era da tre anni che seguiva questi casi ed effettivamente ne era stato coinvolto a livello emotivo e personale. Aveva visto con i suoi occhi cosa avevano subito quelle donne. Davanti alle vittime, che ancora si contorcevano per il dolore, aveva giurato a sé stesso che avrebbe catturato quel mostro ripugnante.

“Troppo comodo, cara Dottoressa, parlare in questo modo. Intanto non è assolutamente vero che sono l’unico ad indagare su questo caso. Poi vorrei rammentarti che tu hai avuto la fortuna di nascere in una famiglia agiata, di laurearti in giurisprudenza all’Università di Roma e di entrare in Polizia senza faticare troppo. Non sei nata in una favela brasiliana o in qualche suburra moldava o ucraina. Ti auguro di diventare presto madre, magari ti addolcirai e forse capirai cosa significhi indagare su casi così terribili. Non ho mai chiesto il tuo aiuto e mai te lo chiederò. Sappi solo che forse siamo arrivati alla fine dell’indagine, della lunga lista dei sospettabili ne sono rimasti pochi e a breve la Scientifica potrebbe dirci chi è il colpevole”.

“Cosa c’entra la Scientifica? Avete forse fatto qualche perquisizione senza autorizzazione? Commissario, cosa cavolo stai combinando? Vuoi finire tu in galera?”.

“Calma, calma! Non ti scaldare, abbiamo solo raccolto dei mozziconi di sigaretta gettati da alcuni dei nostri sospettati e li stiamo facendo analizzare. Il confronto con le tracce biologiche lasciate sui corpi delle ragazze potrebbe indicarci chi è il pezzo di merda che stiamo cercando”.

“Bene! Bravo! Resto dell’idea che invece di sprecare il mese di agosto a caccia di un sadico imbecille, di cui non frega niente a nessuno, faresti bene ad andartene in ferie con la tua famiglia. La Polizia ha cose più serie ed importanti a cui pensare, ragion per cui non chiedermi le ferie a settembre. Non te le autorizzerò. Adesso me ne vado. E’ tardi. Tu fai quello che vuoi ma non rompermi più le palle con questa storiaccia”.

“Ho capito benissimo che non te ne frega niente della mia indagine. Me ne sono fatto una ragione, non ho bisogno della tua approvazione, continua pure a leccare i piedi del Questore e a far finta di lavorare. Io resterò il povero poliziotto di sempre, non farò mai carriera e mi accontenterò solo della gratitudine di quelle povere ragazze. La loro riconoscenza sarà più che sufficiente per sentirmi felice e realizzato.”

Lei lo fissò gelidamente negli occhi e, senza salutare, se ne andò sbattendo la porta.

“Meglio così”, pensò.

Non poteva perdere altro tempo ad ascoltare quella cretina. Bastava il caldo a rovinargli la giornata. Il sudore gli colava lungo la schiena.
Si alzò dalla sedia e andò alla finestra a prendere una boccata d’aria. Si accese una sigaretta. Non riusciva a calmarsi.
Una serie di terribili immagini appari nella sua mente, una sorta di presentazione multimediale da togliere il sonno. La ragazza era distesa sul letto, legata mani e piedi. La faccia era rivolta verso di lui, lo guardava con occhi fissi, spalancati e terrorizzati. La bocca era tappata con del nastro adesivo. Rivoli di sangue le colavano da decine di tagli cosparsi su tutto il corpo nudo. Tremava come una foglia. Le strappò il nastro adesivo dalla bocca e lei iniziò ad urlare, sempre più forte, sempre più forte, disperata e preda di una paura incontrollabile.
Il telefono squillò, una, due, tre, quattro volte. Tornò alla scrivania. Non riusciva ad alzare la cornetta. L’angoscia gli attanagliava lo stomaco. Quello che aveva visto lo stava consumando lentamente. Doveva assolutamente arrestare quel bastardo, se non voleva impazzire anche lui…

Gian Luca Tavecchia