“Sono nato qui cinquantadue anni fa. E in tutto questo tempo ho visto Milano trasformarsi, sempre. Trasformare il proprio aspetto urbanistico, trasformarsi dal punto di vista sociale e culturale. La nostra, caro Ermanno, è una città in costante movimento”. Comincia così la piacevole chiacchierata con il mio amico Andrea Boiocchi su queste pagine milanesi. E non poteva essere diversamente, visto che entrambi abbiamo a cuore le sorti del capoluogo lombardo, la grande valvola cardiaca della nostra regione. Andrea aveva inizialmente puntato su una carriera militare, nell’ambito della quale ha ricoperto, da ufficiale, gli incarichi di comandante di plotone e di vicecomandante di compagnia al Terzo Reggimento Alpini. In seguito, smessa la divisa, ha intrapreso un altro percorso professionale, nel settore delle telecomunicazioni, acquisendo una vasta esperienza e diverse competenze. Oggi è un libero professionista del settore, dove continua a ricevere consensi e apprezzamenti. Ma siccome è un milanese sempre in movimento, proprio come la nostra città, da cinque anni è anche membro attivo dell’associazione culturale Nazione Futura, il cui obiettivo è diffondere il pensiero liberale e conservatore. Qui a Milano è diventato coordinatore del circolo cittadino, esprimendo pienamente, in un contesto a lui congeniale, la sua passione per la politica. “Ho vissuto la Milano socialista, da Aniasi a Borghini”, riprende, sospirando, il filo del discorso. “Poi quella a me più vicina, liberal-conservatrice, appunto, da Formentini alla Moratti, passando per Albertini. E infine la città radical chic, con l’avvento di Pisapia (prima) e Sala (poi). Personalmente, il periodo più bello per me è stato subito dopo Mani Pulite, quando la città ha avuto l’opportunità di ricostruirsi e di rinnovarsi, senza perdere di vista le sue radici culturali e storiche. C’era voglia di riscatto, dopo gli scandali di Tangentopoli. È stato un periodo di grande fermento e di innovazione, che ha creato nuove opportunità per la città e ne ha aumentato il prestigio a livello internazionale”.
È come la vedi e la vivi oggi, da attivista politico e culturale?
“Oggi vedo una Milano intorpidita e divisa, incapace di coniugare le sue diverse anime e di lavorare insieme per il bene comune. Come conservatore, credo nell’importanza della solidarietà e del lavoro di squadra, e mi preoccupa vedere una città che sembra aver perso questo spirito collaborativo. Nonostante questo quadro a tinte chiaro-scure, però, sono fiducioso. Traggo la mia fiducia proprio dall’attività politico-culturale, dagli eventi che organizziamo come Nazione Futura, dove vedo partecipare sempre più persone e giovani interessati a capire, comprendere, approfondire quanto sta accadendo, e a non lasciarsi condizionare da un mainstream che definisco orwelliano”.
Quindi, secondo te, il livello attuale della politica e della comunicazione pubblica milanese è sceso parecchio?
“In generale (e non solo a Milano), la politica ha subito un deterioramento, rispetto a trent’anni fa. Anche in questo caso, Mani Pulite è stato uno spartiacque. Prima esistevano grandi apparati politici, che formavano i loro componenti. Con la crisi di queste grandi strutture, si è passati a realtà più snelle, dove la formazione politica e la competenza sono state sostituite dalle relazioni pubbliche. È diventato più importante piacere agli elettori, che dimostrarsi all’altezza del ruolo per il quale si chiede il consenso”.
Però gli sviluppi della tecnologia e in particolare dei social network qualche contributo lo hanno portato. O no?
“Certo, nel frattempo si è passati dalla società analogica a quella digitale e la politica ha dovuto adeguarsi. Da uomo di tecnologia, non posso che esserne felice. La tecnologia, però, come tanti strumenti creati dall’uomo, va utilizzata con sapienza e consapevolezza. Lo stesso vale per i social network, che sono strumenti con enormi potenzialità comunicative, ma se vengono usati in modo superficiale o fraudolento possono creare davvero molti danni. Ovviamente, i politici, che a loro volta devono utilizzarli, non sono al riparo da questi rischi, e spesso si trovano a dover gestire imbarazzanti dietrofront. Insomma, occorre che tutti, ma proprio tutti, impariamo ad utilizzare queste nuove risorse in modo responsabile”.
Comunque, dall’Expo in poi (e pandemia a parte) Milano, secondo me, è cambiata in meglio. È cresciuta ulteriormente l’offerta culturale ed è letteralmente esplosa quella turistica. Per contro, credo che sia peggiorato il tessuto sociale: complice anche una crisi economica che continua a mordere, risulta schiacciato verso il basso…
“L’Expo è stata una vetrina importante per l’Italia e chiaramente per Milano. Ha contribuito a farci conoscere nel mondo e a dare un respiro ancor più internazionale alla nostra città. Tuttavia, la grande crisi economica del 2007 ha lasciato segni indelebili. Molte aziende nazionali e soprattutto internazionali hanno ridotto negli anni la loro presenza qui, complici anche le nuove modalità di lavoro da remoto e i fenomeni di dumping sociale, lo spostamento del lavoro in altri Paesi europei, dove costa meno. E poi le difficoltà del commercio di prossimità, nel confronto con la grande distribuzione, limitrofa alla città, se non addirittura dentro, e il commercio on line. Nonostante questo contesto, la città ha continuato ad esercitare una forte attrattività nei confronti di coloro che cercano lavoro e opportunità di crescita professionale. Lo stesso fenomeno migratorio ha messo a nudo le difficoltà dell’inclusione sociale e della costruzione di una comunità integrata e solidale”.
Ecco, a proposito: che opinione hai del fenomeno dell’immigrazione a Milano? E di come viene gestita? Esiste il problema della sicurezza cittadina (Stazione Centrale a parte, che sembra fuori controllo), nei termini in cui viene rappresentato tutti i giorni dai mezzi d’informazione?
“La realtà è che l’immigrazione a Milano non è un fenomeno gestito. È per gestione intendo che non esiste un coordinamento unico delle varie componenti coinvolte. Questa frammentazione e improvvisazione sono il risultato della mancanza di una guida politica forte, in grado di gestire adeguatamente questo problema. Negli ultimi anni mi sembra che si sia data più importanza a combattere l’inquinamento atmosferico (su cui ci si scontra di più sul piano ideologico che sui fatti concreti) con divieti, zone C e B, creazione di fantomatiche piste ciclabili, piuttosto che a gestire un fenomeno come l’immigrazione, appunto, che è una bomba sociale a orologeria. Per quanto concerne il problema della sicurezza, che è influenzato non poco dalla cattiva gestione del fenomeno migratorio, posso dirti, per esperienza personale, che vivendo la città a diverse ore del giorno, dal centro alla periferia, in auto e sui mezzi pubblici, a Milano non ci si sente sicuri. Se è vero che sono diminuiti i delitti, è particolarmente preoccupante, invece, l’aumento delle rapine, dei furti e delle violenze alla persona, soprattutto contro le donne. La presenza delle baby-gang, una realtà che fino a poco tempo fa era sottovalutata dalle autorità competenti, rappresenta un ulteriore elemento di preoccupazione per i cittadini. Questi reati, definiti come microcriminalità, hanno in realtà un grande impatto sulla vita quotidiana dei milanesi. Personalmente, ritengo che la sicurezza possa essere garantita solamente attraverso una politica di tolleranza zero nei confronti dei reati, con una maggiore presenza delle forze dell’ordine sul territorio e con l’adozione di misure efficaci di contrasto alla criminalità. È inoltre necessario promuovere una cultura della legalità e del rispetto delle regole, che rappresenta il fondamento di un sano e sereno vivere civile”.
Per concludere, Andrea: come vedi, dunque, il futuro di questa città, in relazione anche all’attuale situazione italiana e internazionale?
“Milano è una città con un forte patrimonio culturale ed economico. Sono convinto che continuerà a prosperare anche in un contesto nazionale e internazionale incerto come quello attuale. Tuttavia, per mantenere questa posizione di leadership, dobbiamo concentrarci su politiche che favoriscano il commercio e gli investimenti, l’istruzione e la formazione professionale, nonché sulla sicurezza pubblica. Occorre essere attrattivi per le nuove generazioni, creando un ecosistema formativo che sia in grado di soddisfare le esigenze e le aspettative dei giovani. Questo significa fornire percorsi di studio di alta qualità, basati sulla tecnologia e sull’innovazione, per garantire che siano in linea con gli attuali bisogni del mercato del lavoro”.
Ermanno Accardi (giornalista e scrittore)