Lui faceva il croupier…

Milano si racconta

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Oggi si tende a chiamarli “clochard”. Non so se questo sia dovuto al fatto che un termine francese sia ritenuto più politicamente corretto del milanesissimo “barbun” o come omaggio inconscio ai tanti angoli dove Milano assomiglia un po’ a una piccola Parigi. Ma tant’è.

La mia storia ha luogo tanti anni fa ormai, quando, ancora studente universitario, prestavo la mia opera in un’associazione di volontariato che aiutava i clochard, i senzatetto o anche le persone anziane che magari un tetto ce l’avevano, ma poi non avevano niente altro, fra cui un po’ di cibo per sfamarsi.

Quello facevamo: regalavamo del cibo e ci fermavamo un’oretta a parlare con loro, perché spesso, oltre al cibo, era la compagnia che mancava loro.

E così un giorno conobbi questo strano clochard, e mi colpì subito, perché, al di là dei vestiti sporchi e rammendati mille e mille volte, quell’uomo, nonostante vivesse in Stazione Centrale e dormisse sulle panchine, aveva quasi sempre la barba rasata, un certo portamento e si esprimeva con un linguaggio piuttosto forbito.  Insomma, era una persona distinta.

Ogni volta che veniva, si fermava a parlare un po’ con me e così seppi che lui, in effetti, aveva avuto un buon posto di lavoro, e anche ben pagato. Faceva il croupier in un casinò…

La Stazione Centrale di Milano

Poi, per una serie di vicende negative, problemi familiari e di salute, si ritrovò senza lavoro e senza casa. Un’esistenza agiata e senza grosse preoccupazioni si era trasformata, in poco tempo, in una vita di povertà e di indigenza. La pallina del mio nuovo amico si era fermata troppe volte nelle caselle sbagliate della ruota.

Poi un bel giorno, con grande stupore, me lo trovo sul giornale. Lui, sorridente, accanto a un albero: “è proprio qui che ho trovato la borsa”. Sopra la foto campeggiava il titolo: un clochard rinviene una borsa piena di banconote e restituisce il tutto alla Polizia.

Il mio amico senza tetto era in giro nei pressi della Stazione e vede una borsa, abbandonata alla base di un albero in Piazza IV Novembre. La apre e vede che all’interno ci sono dei soldi. Tanti soldi. L’uomo non ha il minimo dubbio. Si precipita alla Polizia e consegna la borsa con tutto il contenuto.

E di quei soldi non vedrà nemmeno una lira, perché, indovinate un po’? Chi aveva buttato quella borsa si guardò bene dall’andare a reclamarla. Evidentemente, più forte del desiderio di tornare in possesso di quella cifra era la paura della tante, troppe domande che la Polizia avrebbe fatto.

Di conseguenza, niente premio del 10% e niente affidamento del denaro, in mancanza di qualcuno che lo reclamasse. Di fatto un senza tetto è irrintracciabile. E lui, chissà perché, non si fece più vivo con la Polizia.

Pochi giorni dopo l’uscita della notizia sui giornali, accogliamo i nostri clochard, per il solito incontro settimanale di distribuzione del cibo.

Vedo il mio amico e subito gli chiedo: “ma cosa è successo?”. E lui, sereno come sempre: “Sai io un tempo facevo il croupier, e so come trattare questo genere di cose. Si prende tutto il denaro e lo si consegna alla Polizia. Tenermelo per me? Scherziamo, mica erano soldi miei, e poi, se fossero stati frutto di un reato, se le banconote fossero state segnate? Poi in galera ci andavo io!”.

Tesi, queste, che non convinsero gli altri clochard. All’ingresso del mio amico nella sala dove distribuivamo il cibo, fu accolto da un coro di “cretino” “ciula!” “Te se stà un pirla!”.

Ma lui, solenne come una statua, ribadì la sua versione: “Io ho fatto la cosa giusta. Io sono un croupier, mica un pirla”.

A me venne da ridere, perché sembrava la parodia della canzone di Jannacci, quando il palo della banda dell’Ortica afferma orgoglioso: “Io sono un palo, mica un pirla”.

Il mio amico continuò la vita del clochard, anzi, rifiutò l’offerta di una stanza nella casa di una sua lontana parente. Mi disse “Io non voglio disturbare nessuno”.

Poi non lo vidi più e io smisi di fare il volontario. Da allora sono passati trent’anni. Eppure, da allora raramente ho visto persone con una simile dignità. Nonostante il vecchio cappotto sporco e rattoppato, le scarpe sformate e con la suola bucata.

Milano una volta era così: una città col rispetto di se stessa, dove anche chi non aveva niente poteva comunque conservare la sua dignità…

Marco Lombardi

(giornalista e scrittore)