Al Piccolo Teatro Studio Melato c’è ASTEROIDE di Marco D’Agostin. Un omaggio al musical, alle storie d’amore che finiscono improvvise e alla nostra umana finitezza

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Amore, passione, suggestione. È un intreccio strettissimo di sentimenti diversi fra loro ASTEROIDE di Marco D’Agostin, artista associato del Piccolo Teatro, una voce che ci propone attraverso il tempo e lo spazio un tempo che si perde nelle nebbie delle origini e ci porta alla concretezza del presente. Raccontare oggi la complessità del presente non è certo cosa facile, ma Marco D’Agostin si cimenta nell’impresa in prima persona, da vero one-man-show, posseduto com’è dalla triplice virtù del musical: canto, ballo e recitazione. E comincia proprio con l’esorcizzare, prima ancora di tutte le sue paure, i pregiudizi nei confronti del musical, lui che come formazione viene dalla danza di ricerca. “Ho sempre paura che le cose finiscano e ho iniziato a lavorare ad ASTEROIDE perché avevo molta paura: la paura è stato il primo motore di questo progetto”, dichiara il trentottenne performer che, visto da vicino, conserva intatta tutta la follia del ragazzino. Ma se, sul secondo piatto della bilancia mettiamo la musica, ecco che il peso si eguaglia. Dalla paura fa capolino dapprima timidamente e poi con prepotenza sempre maggiore il desiderio di realizzare un musical da solo, abbastanza esatto da essere accettato dagli intellettuali e dagli operatori del settore danza. Marco D’Agostin non è solo autore e interprete di ASTEROIDE, ma ne è anche l’autore delle canzoni con Luca Scapellato, che firma il suono dello spettacolo, proponendogli di comporre le musiche strizzando l’occhio alle epoche. Ma non basta. A dare la chiave di volta in giorni di profondo dolore e di solitudine è arrivato l’incontro con la Storia, la consapevolezza che un accadimento di 66 milioni di anni fa ha sconvolto sì la vita del pianeta, senza però decretarne la fine. Dai tre elementi – paura, musica, storia – è nato il racconto di un misterioso personaggio, il paleontologo Walter Alvarez, che con pochi oggetti – le scene sono a cura di Paola Villani – ricrea l’atmosfera di una devastazione universale, estinzione dei dinosauri e scomparsa del 75% della flora terrestre, dopo l’impatto con la Terra di un asteroide di 11chilometri di diametro schiantatosi al largo dello Yucatan in Messico: ossa, materiale cosmico che si è depositato ovunque sulla Terra in polvere impalpabile e iridio, metallo fra i più rari della crosta terrestre. Parallelamente il nostro eroe si trova a dover affrontare un’altra catastrofe e un’altra odissea: quella sentimentale. Dolore e paralisi mentale, ma allo stesso tempo 60 casse da riempire di libri, un trasloco, un viaggio verso un altrove ignoto e buio – qui un Paese Oltreoceano – che però spinge all’azione e che silenziosamente ricompone contorni slabbrati, ricostruisce simboli, fisionomie, riferimenti sotto forma di note musicali sparse nell’aria a caso. Dal caso nasce la voglia, l’irrequietezza, il restare sospesi, il muoversi ritmicamente. Il musical si insinua tra le pieghe del racconto e irrompe in scena. Il musical si fonda su un paradosso simile a quello dell’asteroide: qualcosa di imprevisto, giunto da lontano, stravolge le cose come una catastrofe che ci obbliga a cambiare e a sopravvivere. Il musical irrompe nella vita delle persone esattamente come un asteroide perché le persone improvvisamente cominciano a cantare e a ballare. Perché, si chiede il protagonista, la gente improvvisamente si mette a cantare e a ballare? Marco D’Agostin, in paillettes total look, compenetrato delle vocalità e delle musiche che provengono dalle scene newyorchesi, non si dà la risposta ma gira la domanda agli spettatori senza mai dimenticare la forza sottile della sua ironia perché, anche se la sua piccola paura individuale dialoga con il grande terrore planetario che gravita su tutti noi, li rassicura: il cataclisma, la catastrofe almeno per ora non ci sarà. La musica ti prende e ti fa muovere, senza un codice prestabilito, senza movenze precostituite. Ma sta di fatto che lo fa e ti ritrovi a inseguire il ritmo con passi di danza improvvisati, con parole inventate lì per lì. Siamo tutti sognatori, in definitiva. Ed è forse anche la forza del sogno che ci salva dall’asteroide che si è abbattuta su di noi, che ci obbliga a ripensare la vita, a cambiare perché la vita continui a vivere. C’è un avvenimento che frattura lo spettacolo in due, qualcosa che racconta la fine anche se poi la fine non esiste perché il cambiamento climatico non cambierà la vita, la vita continuerà in un altro modo, i corpi umani cambieranno. Nessuno di noi sa cosa accadrà dopo. Alla fine entra in scena, illuminato solo da otto fari e cercando di farsi strada a fatica tra i fumi, in equilibrio precario sulle sei zampe, una strana creatura senza capo né coda. È un corpo non umano. È forse la nuova creatura della nuova epoca? Torna sulla scena Marco D’Agostin e iniziano calorosi, ripetuti gli applausi di un Piccolo Teatro Studio Melato gremito, dove lo spettacolo ha debuttato martedì scorso e si replica fino a domenica prossima, 8 giugno.

Elisabetta Dente