Nella Milano di una volta, in agosto…

Milano si racconta

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Nella Milano di una volta, in agosto, non c’era proprio nessuno. I supermercati e i centri commerciali non erano ancora stati inventati e i pochi forzati della città si chiudevano in casa, cercando un po’ di refrigerio con il ventilatore acceso. Saltava fuori soltanto qualche pazzo di quartiere, di quelli che d’inverno non si vedevano perché faceva freddo e la pressione restava bassa, scongiurandone così, insieme ai tranquillanti, le escandescenze. Oggi, invece, Milano in agosto non è più completamente deserta. Perché la popolazione cittadina è aumentata, mentre le possibilità economiche sono diminuite. Perché sono arrivati molti immigrati, che sono qui per lavorare, altro che andare in vacanza. E perché nel frattempo hanno inventato i supermercati e i centri commerciali, così i forzati della città, soprattutto gli anziani con le pensioni basse, escono dalle loro case trasformare in forni e vanno a cercare un po’ di fresco vitale…

Fotografata la realtà, però, devo dirvi che la Milano di oggi, in agosto, non mi piace. Mi trasmette malinconia, tristezza, povertà, emarginazione, solitudine e spesso anche inquietudine, per la presenza di molte facce poco raccomandabili in giro per le vie della città. Nella Milano di una volta, in agosto, forse era difficile trovare un tabaccaio o una farmacia aperta e bisognava ricordarsi di comprare il giornale il 31 luglio perché in ultima pagina c’era l’elenco degli esercizi commerciali aperti, che garantivano la sopravvivenza agli zombie metropolitani senza abbronzatura. Nella Milano di una volta, in agosto, magari incrociavi il pazzo di quartiere che girava nudo per la strada, urlando frasi senza senso, ma siccome era innocuo bastava chiamare un’ambulanza per calmarne i bollori estivi. Nella Milano di una volta, in agosto, ti sembrava di vivere un “day after”, cercando un’altra anima senza pace per poter scambiare quattro chiacchiere, conoscere meglio il prossimo, ascoltare la sua storia. E non ti faceva paura. Al massimo, compassione…

Ermanno Accardi