Tommaso Marino: una lunga vita, una continua e spericolata avventura finanziaria e la luce di una fiamma di amorosi sensi

La Milano di Giovanna FerranteNews

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Un ricchissimo banchiere genovese, in grado di concedere prestiti all’Imperatore Carlo V, a due Papi (prima Giulio III poi Paolo IV) e alla Tesoreria dello Stato di Milano, naturalmente senza dimenticare di farsi restituire le somme con tassi da strozzinaggio e prebende di varia natura. Tommaso Marino nasce nel 1475, primogenito di Luchino Marino, ambasciatore a Milano presso Ludovico Sforza, e di Clara Spinola, appartenente ad uno dei tanti rami dell’illustre casata genovese. Si trasferisce a Milano al seguito del fratello Giovanni, avendo nel frattempo ottenuto la cittadinanza milanese grazie all’influenza della sua potente famiglia. L’abitazione è all’angolo fra piazza San Fedele e via Case Rotte. E comincia la sua straordinaria fortuna economica, viste le continue e gravi necessità finanziarie imperiali. Il versamento nelle casse dell’Impero di 55.000 scudi gli otterranno l’appalto della tassa sul sale; il Governatore dello Stato di Milano, Alfonso d’Avalos, Marchese del Vasto, gli chiederà altri 206.000 scudi necessari per le spese per le guarnigioni, dando in garanzia il gettito dei dazi delle città di Milano, Lodi, Cremona, Pavia. Senza contare che Tommaso Marino già si occupava delle forniture militari. Un altro prezioso ambito di investimento era quello legato alla terra e alla compravendita di feudi e diritti camerali. Acquistò i terreni dell’area in cui si concentravano i beni dell’Abbazia di Morimondo; dopo quattro anni riuscì ad ottenere in affitto per soli 2.300 scudi annui l’intero patrimonio fondiario della commenda dell’Abbazia stessa, valutato in 400.000 pertiche. E ancora, poco dopo, riesce a far propri i feudi di Casalmaggiore. Una figura di considerevole importanza, un uomo di grande potere. Al punto da essere nominato, durante il governo milanese di Ferrante Gonzaga, Membro di Cappa Corta del Senato, la più alta istanza giudiziaria e amministrativa di Milano. Il raggio d’azione di Marino non era comunque circoscritto al triangolo Genova-Milano-Corte imperiale, ma era anche spregiudicatamente orientato verso la realtà finanziaria romana. Papa Giulio III, in cambio di un versamento immediato di 30.000 scudi romani, oltre ad un interesse annuo del 12%, lo nomina Depositario Generale, affidandogli i cespiti della Camera Apostolica, per una durata di cinque anni. Ed essendo emersa l’insolvenza di un debito da parte della Camera Apostolica e dei colossali crediti che Tommaso Marino può vantare, il successivo pontefice Paolo IV gli riserva la sua benevolenza tradotta in 4.000 ducati al mese per un semestre, i residui della Tesoreria di Camerino, la metà del gettito dei quindenni, la metà del ricavato dei quindenni antichi di Spagna e Portogallo, oltre alla metà di tutti gli spogli dei medesimi territori. Incredibilmente e drammaticamente, nel 1560 la stella luminosa della sua fortuna si spegne. Il destino, dopo avergli fatto raggiungere le più alte vette, ha in serbo per lui una feroce parabola discendente.

 

Un’immagine degli interni di Palazzo Marino, oggi sede del Comune di Milano, in Piazza della Scala

Da un lato troppi debitori che non onorano i loro debiti, dall’altro le spese folli per la realizzazione di Palazzo Marino, che a Milano avrebbe dovuto essere dimora e soprattutto emblema della sua straordinaria potenza, e che in realtà rimarrà incompiuto, travolto anch’esso dal tracollo economico del suo proprietario. Alla sua morte, nel 1572, Tommaso Marino lascerà debiti per 1.780.000 lire dell’epoca. La vita privata lo vede coniugato con Bettina Doria (della quale rimarrà vedovo nel 1558) e padre di cinque figli: Bartolomea, Clara, Niccolò, Andrea e Virginia. Da quest’ultima una nipote, Marianna, che diventerà la famosa infelice Monaca di Monza. Entrambi i figli maschi funestarono la sua vecchiaia. Visi truci d’assassini, si macchiarono entrambi d’omicidio: Andrea in un eccesso d’ira uccide un servitore, Niccolò per gelosia pugnala la moglie Luisa de Lugo Herrera, appartenente a una delle famiglie meglio introdotte alla corte di Spagna. Per il primo la galera, per l’uxoricida la fuga per sfuggire alla taglia che il Re di Spagna aveva messo sulla sua testa. Le speculazioni finanziarie, il gigantesco potere, la sofferenza e il tormento familiare; oltre a questo però, fra le pieghe della sua lunga esistenza, anche la luce di una fiamma d’amorosi sensi:
“Sulla terra ho trascorso novantasette anni, alcuni dei quali illuminati da un grande e appassionato amore per Arabella Cornaro, veneziana. Per amore rapita in Canal Grande e ricoperta di gioielli in Milano”…

Giovanna Ferrante (giornalista e scrittrice)