Rino Morales: “Vivo da medico in prima linea l’Emergenza Coronavirus. Dobbiamo ancora conoscere tanto, ma disponiamo di un ottimo strumento: il test sierologico. Utilizziamolo diffusamente e sarà esaustivo”

Milano attualitàNews

Written by:

Ce l’ho fatta. Non è stato facile, nonostante la nostra amicizia e il fatto che sia (ufficiosamente) il mio medico curante perché non ama stare sotto i riflettori e mettersi in mostra in alcun modo e per nessuna ragione. Ma alla fine sono riuscito a farlo parlare, o meglio, a scrivere. Peraltro lo fa molto bene e posso dirlo con cognizione di causa, avendo curato (il termine mi sembra appropriato) insieme a lui e ad altri colleghi di scrittura alcune antologie di racconti milanesi. Sì, perché Rino Morales, 60 anni, di Senago, un centro della città metropolitana di Milano, sposato e padre di due figli, coltiva con discreto successo la passione per la scrittura, oltre quella umana e professionale di medico, il mestiere che si è scelto per vivere e far vivere al meglio, se possibile, i suoi pazienti. Esercita da due anni la Medicina Generale, dopo aver lavorato per altri trent’anni in qualità di specialista ematologo in tre ospedali lombardi: quelli di Vimercate e Garbagnate Milanese e il Sant’Anna di Como. “Sì, nel 2018, distrutto dalla fatica e dallo stress, ho abbandonato con malinconia il lavoro in ospedale per scegliere di esercitare una professione che credevo essere più rilassante”, racconta sospirando il bravo medico milanese. “E invece sono piombato nel caos dell’Emergenza Coronavirus, vissuta dalla prima linea. “Durante la mia carriera ospedaliera mi sono occupato anche di Virologia e di Medicina Rigenerativa, oltre che, naturalmente, di Ematologia Clinica e di Laboratorio. In tutto questo periodo ho visto la Lombardia e Milano offese e ferite. Ferite dal virus, che ha mietuto vittime falciando un’intera generazione e offesa da coloro i quali avevano il compito di difenderla e invece hanno mantenuto comportamenti e operato scelte che l’hanno esposta maggiormente ai contagi. Ora vengono offese e ferite da quanti ritengono che il lombardo sia un untore e ci rifiutano la libera circolazione nelle loro regioni. Dopo il danno anche la beffa. Non è il tempo delle polemiche, né delle recriminazioni. Adesso è ancora il tempo dell’azione di contenimento, perché per dominare un fenomeno dobbiamo capirlo e noi di questo virus dobbiamo ancora conoscere tanto. Dopo, saranno in molti a dover darci delle risposte”.

 

Rino Morales, 60 anni, di Senago, ha lavorato per trent’anni come specialista ematologo in tre ospedali lombardi: quelli di Garbagnate Milanese e di Vimercate e il Sant’Anna di Como

Secondo te è stato fatto finora tutto quello era possibile e doveroso fare?

“Non sono un epidemiologo ma credo fosse, anzi meglio, sia necessario tracciare la circolazione del virus in una maniera più efficiente, in modo da evidenziare due popolazioni: quella di coloro i quali hanno contratto l’infezione e quella dei suscettibili, che andranno difesi”.

 

Sul fronte della corretta informazione sono stati commessi errori?

“Dall’inizio di questa pandemia ho operato una scelta di campo: mi sono affidato esclusivamente ai numeri, così come emergevano dai bollettini dell’Istituto Superiore di Sanità, pur sapendo per esperienza diretta sul campo che questi non avrebbero potuto essere esaustivi. Ho avuto molti pazienti che presentavano una sintomatologia tipica e che non hanno avuto il bene di effettuare un test che confermasse i miei sospetti. All’inizio mancavano i supporti informatici per la registrazione e quindi questi casi clinici sono andati persi. I tamponi non venivano effettuati e quindi non venivano registrati, ma ho scelto la strada dei numeri proprio per sottrarmi alle chiacchiere e poter fare valutazioni indipendenti, frutto delle mie conoscenze, della mia esperienza e della mia sensibilità. Per questo motivo non ho apprezzato i litigi da Bar Sport di molti miei colleghi in televisione, sulla carta stampata e sui social network. Un atteggiamento più asettico, da parte dei miei e dei tuoi colleghi, sarebbe stato opportuno, proprio perché alla fine molta gente non pensa, semplifica. E questo non è compatibile con la complessità della vita. La scienza progredisce, come ci ha insegnato Galileo, per osservazione di un fenomeno, formulazione di una tesi che lo possa spiegare, ricerca delle condizioni che lo possano riprodurre sperimentalmente e successiva raccolta dei dati che confermano o smentiscono la nostra tesi. Ecco, questo fenomeno stiamo imparando ad osservarlo adesso, quindi siamo ancora nella fase del “non ci capiamo un cazzo”, per usare un francesismo, come dici tu. Però percepisco molta sicurezza, affermazioni nette, verità sacrosante. Queste cose mi fanno molta paura”.

I comportamenti complessivi degli Italiani (ed in particolare dei milanesi e dei lombardi) finora sono stati buoni o possono ancora migliorare?

“Tornando a Galileo, a questo punto della storia noi sappiamo con buona certezza come il virus infetta e quanto tempo rimane sulle superfici.
In realtà sappiamo anche un sacco di altre cose, ma che non sono in questo momento utili ai fini del nostro discorso. Quello che non sappiamo ancora è come il virus si distribuisce nella popolazione. Sono partiti in questi giorni due studi epidemiologici che utilizzano i test sierologici e che dovrebbero rispondere a questa domanda. Finché non avremo certezze su questo punto è fondamentale mantenere un atteggiamento umile e prudente. Umile proprio perché dobbiamo ricordarci, insisto, che noi non sappiamo un cazzo”.

Un’altra bella immagine di Rino Morales. Il medico senaghese coltiva la passione per la scrittura e ha già pubblicato diversi racconti, che hanno come sfondo la città di Milano

E’ stupido sottovalutare la situazione (tanto noi siamo giovani e la malattia colpisce gli anziani, non uso la mascherina perché è dannosa, i poteri occulti ci vogliono chiusi in casa e remissivi), è delinquente comportarsi e fornire un esempio da menefreghista. Bene ha fatto il Sindaco di Milano ad incazzarsi pesantemente e a minacciare ritorsioni feroci se il “liberi tutti”, come è stato inteso da chi si è accalcato lungo i Navigli alla riapertura dei locali, si fosse mantenuto”. E’ consigliabile considerare la nostra ignoranza e ricordarci che le professionalità si costruiscono con anni di studio e di esperienza sul campo. Facebook, Twitter e Instagram non sono né la Facoltà di Medicina né ospedali. Se la pensiamo diversamente facciamoci fare diagnosi e terapie nelle libere Facoltà di Google e di Wikipedia e smettiamola di frequentare gli studi medici. Credo di essermi spiegato. O no?

Ti sei spiegato benissimo. E non avevo dubbi. Parliamo dell’APP per il tracciamento dei contatti. Che ne pensi, tenendo conto che con l’utilizzo quotidiano della tecnologia siamo tutti già tracciati?

“Sicuramente, quando sarà rilasciata, la installerò e la userò. Non capisco quelli che sbraitano soprattutto sui social ululando che il Governo invaderà la nostra privacy. Cioè, il governo no e Google, Facebook, Twitter e via dicendo sì. Ridicolaggini. Ma in realtà io penso che tu voglia chiedermi se penso che possa essere effettivamente utile per tracciare i contatti. Se questa è la domanda, nel mio piccolo ti rispondo di no. Abbiamo una popolazione anziana e poco avvezza a gestire con dimestichezza la tecnologia, abbiamo un sacco di complottisti diffidenti che non la useranno. Avremo dati monchi. Senza mettere in conto, poi, le immancabili falle informatiche, come quella che ha colpito in questi giorni ATS Milano. Disponiamo di un ottimo strumento: il test sierologico. Utilizziamo diffusamente questo. Secondo me sarà esaustivo”.

Quanti tamponi al giorno dovrebbe effettuare la Sanità pubblica milanese e lombarda per ottimizzare il lavoro di screening?

“Il significato biologico del tampone non è quello di fare screening, bensì di confermare il sospetto clinico di un’infezione in atto. Avrebbe senso, fuori da questa indicazione, per indagare il personale sanitario e forse anche per garantire un accesso sicuro agli anziani nelle RSA, visto quello che è successo. Per me, come dicevo prima, ha senso effettuare un test rapido, di relativa facilità esecutiva e quindi fruibile da una grande parte dei laboratori di analisi, anche quelli che non hanno una competenza specifica in analisi molecolari, di costo decisamente basso rispetto al costo del tampone e di una buona sensibilità e specificità: il test sierologico, appunto. Questo ci permetterebbe di avere una carta geografica attendibile della distribuzione del virus. Inoltre, ci permetterebbe di evidenziare con relativa precisione la popolazione dei suscettibili, quelli che non hanno avuto un contatto con il virus e che quindi non hanno sviluppato anticorpi, cioè quelli da proteggere. Perché il ginecologo richiede, all’inizio della gravidanza, il test sierologico per la toxoplasmosi o per la rosolia a una sua paziente? Proprio per capire se questa è suscettibile all’infezione e quindi per mettere in atto, nel caso fosse così, le adeguate procedure per proteggere lei e il suo figlioletto dall’infezione. Tutto questo ammettendo che gli anticorpi prodotti dal nostro organismo proteggano da una nuova infezione (cioè siano neutralizzanti). Su questo punto il dibattito non è ancora concluso, anche se in Letteratura Medica stanno cominciando a comparire studi a favore di questa tesi. Ricordo due tristi esempi di virus in grado di sopravvivere agli anticorpi che il nostro organismo produce contro di essi: HIV e HCV, responsabili anch’essi di “epidemie” (chiamiamole così) alla fine del secolo scorso. Ora la medicina ha messo a punto strategie terapeutiche in grado di trasformare l’AIDS in una malattia cronica e non in quel disastro che si è portato via anche qualche mio amico, negli anni Novanta, e addirittura di far guarire i malati di epatite cronica HCV correlata. Ma hai notato che per nessuno di questi virus si è riusciti a mettere a punto un vaccino? Non è un caso… Comunque, tornando agli anticorpi neutralizzanti mi viene da chiedere: ma se così non fosse, qualcuno mi vorrebbe spiegare perché il plasma dei guariti (il cosiddetto “plasma iperimmune”) ha dato dimostrazione di funzionare nella terapia di alcuni pazienti COVID19?”.

Ecco, sarebbe interessante. Esiste, secondo te, una data a partire dalla quale potremo effettuare liberamente tamponi e test sierologici certificati, con la semplice prescrizione di un medico, cioè tua?

“Non credo sarà utile, in futuro. Detto quel che ho già detto circa il significato biologico dei test, tra qualche tempo non credo sarà più necessario utilizzarli come invece dovremmo fare ora. In realtà adesso mi sento monco, quando non posso confermare un mio sospetto clinico direttamente, dovendo dipendere come succede oggi dal portale COVID19 della Regione Lombardia. E’ un potente strumento informatico messo a disposizione dei medici di Medicina Generale, dei pediatri di libera scelta, delle strutture sanitarie e delle amministrazioni comunali per tracciare e gestire i casi COVID19. Quando io sospetto che ci siano le condizioni cliniche per poter affermare che un mio paziente sia infettato con il Coronavirus lo segnalo su questo portale e tutto parte in automatico: la segnalazione, la sorveglianza, la richiesta di tamponi. A me resta il compito di seguirne l’andamento clinico ed eventualmente attivare cure di secondo livello. Però il fatto di non poter decidere quando, beh, un po’ mi disturba. In futuro, però, non ce ne sarà bisogno e tamponi e test sierologici diventeranno normali test diagnostici, previsti dal tariffario regionale e comunque poco utilizzati. Almeno, spero”…

Rino Morales immortalato nel giorno della Laurea della figlia Greta, con l’altro figlio Luca e la moglie Patrizia

Potremmo andare avanti a lungo, Rino. Avrei molte altre domande da farti e tu sicuramente molte cose da dire, ma poi ci dilungheremmo troppo, forse, per gli standard di un blog. Allora ti chiedo soltanto, in conclusione, che cosa stai facendo per garantire a te stesso e ai tuoi familiari la sicurezza sanitaria…

“Quando cominciò questa storia facevo parte della tribù degli irridenti. Ricordo che pensavo con un sorriso ai due signori cinesi ricoverati allo Spallanzani di Roma. Mi sono comportato con nessuna umiltà e molta arroganza. Poi sono arrivati Codogno, Vo Euganeo, Nembro e Alzano Lombardo e allora ho smesso di ridere. Poi, la prima settimana di marzo è arrivato il mio “paziente zero”, che ho visto consecutivamente una sera tardi e la mattina successiva con scarse protezioni e che dopo poche ore da quando ero riuscito a farlo ricoverare era già intubato e attaccato a un ventilatore meccanico. Quando mi raggiunse la notizia che effettivamente si trattava di polmonite interstiziale da Coronavirus rimasi gelato e mi dissi: “O ti metti seriamente a studiare o non sopravvivrai”. Intanto, come molti colleghi, ho passato il mio periodo di quarantena lavorando, con pochissimi strumenti di protezione, che mendicavo di volta in volta agli amici ospedalieri prima che arrivassero quelli messi a disposizione dalla ATS, dal Comune e dall’Ordine dei Medici. Ho modificato radicalmente le mie abitudini e quelle della mia famiglia. Ho identificato stoviglie e posate per un mio uso personale; queste venivano lavate per ultime con la candeggina e riposte in un cassetto dedicato. Ho dormito solo per un mese, non sono andato a trovare la mia mamma novantaquattrenne per cinque settimane, con il timore di infettarla. Ho utilizzato la mascherina quasi diciotto ore al giorno. Ho minacciato chiunque in famiglia si attaccasse alla bottiglia dell’acqua o dimenticasse in giro un fazzoletto o una mascherina. Non ho quasi mai utilizzato i guanti, confidando sull’efficienza del film idrolipidico che ricopre la mia cute, ricordandomi però di lavarmele spesso. In generale ho sofferto molto e sono stato causa di sofferenze tra i miei familiari. Mia moglie, che lavora in un grande ospedale milanese, ha avuto la fortuna di effettuare il test sierologico, risultando negativa, così sappiamo che almeno lei non si è infettata e che è suscettibile, da proteggere. Mio figlio ha scelto il suo personale periodo di lockdown, tre mesi, cominciando ad uscire in questi giorni. Mia figlia si è rovinata il naso con le mascherine FP2 che le ho procurato, deducendole dalla mia riserva e costringendola ad indossarle durante il suo lavoro, che come il mio e quello di suo madre non si è mai fermato. Quindi cosa faccio per mantenere alto il livello di sicurezza? Mi ricordo tutte le mattine che io, lo ripeto fino allo sfinimento, non so un cazzo. Mantengo un profilo basso e mi affido alle raccomandazioni sul distanziamento sociale e sull’uso dei dispositivi di protezione individuale. E spero che il tizio con il quale ho parlato oggi pomeriggio non sia un portatore asintomatico. Questo ricordo a tutti i miei pazienti, tutti i giorni, anche se passano a trovarmi solo per un banale mal di schiena”.

Ermanno Accardi (giornalista e scrittore)