Lorenzo Merlo, milanese giramondo: “Qui mi sento a casa, ma da lontano la mia città sembra molto provinciale”

Giornalista, fotografo, scrittore, viaggiatore, guida alpina, campione e istruttore di windsurf. Lorenzo Merlo, 61 anni, milanese, sposato e padre di due figli, un diploma all’Istituto Superiore di Educazione Fisica, è un uomo “multitasking”, un termine che oggi va molto di moda, anche se declinato quasi sempre al femminile. Di conseguenza, tenerlo fermo qui a Milano è un’impresa pari a quelle che compie interpretando tutti questi ruoli. L’ho intercettato, infatti, prima dell’ennesima avventura per le strade del mondo (complice anche la nostra affettuosa conoscenza ormai quasi ventennale), per farmi raccontare molte altre cose che non so ancora di lui.

“Caro Lorenzo, sei recentemente tornato da un grande viaggio in Afghanistan e sei prossimo alla partenza per la Mongolia. Vuoi parlare di queste due esperienze, quella già fatta e quella da fare?”

“Innanzitutto, ti do un paio di elementi, riguardo all’identità del viaggio: sono stati 23mila chilometri (ritorno incluso) compiuti in auto, da solo. L’Afghanistan è stato un viaggio nel senso più compiuto del termine; non tanto per i rischi d’incolumità che tutti possono immaginare quando si entra in teatri di guerra, e neppure per quando, in mezzo all’Hindu Kush, i militari italiani presenti nel Paese mi hanno fatto arrestare sostenendo che fosse un’iniziativa (poi sbugiardata) della polizia afghana.

 

È stato un vero viaggio perché fin dalla sua concezione, avvenuta un anno prima della partenza, l’incertezza si è presa ampi spazi, tanto nella fase organizzativa quanto in quella esecutiva. Il problema era che arrivare a Kabul era solo la metà del progetto; questo si sarebbe infatti concluso con la realizzazione di un libro, che avrebbe raccontato il viaggio e nel contempo avrebbe reso merito alle tre persone che lo avevano ispirato. Queste avevano viaggiato in auto dall’Europa a Kabul negli anni 30 e ‘50 del secolo scorso e avevano poi realizzato altrettanti libri, tanto straordinari quanto sconosciuti in Italia. Il mio viaggio, intitolato “Da Qui A Là – Viaggio verso l’Afghanistan”, ha percorso infatti le loro tracce e ha fotografato i luoghi citati dai tre autori: Annemarie Schwarzenbach (“La via per Kabul”, Il Saggiatore); Ella Maillart (“La via crudele”, EDT); Nicolas Bouvier (“La polvere del mondo”, Diabasis). Dunque, quel verso scritto in corsivo alludeva proprio all’incertezza di arrivare al confine; di entrare in Afghanistan (visto che dall’invasione sovietica della fine degli anni ‘70 mai più nessun occidentale era probabilmente entrato nel Paese con un mezzo personale), di attraversarlo, arrivare a Kabul sano e salvo e riuscire ad uscirne.
Se qualsiasi imprevisto avesse interrotto il viaggio non avrei più potuto realizzare il progetto di arrivare a Kabul come i tre autori-guida, né realizzare il libro che volevo. Insomma, o era bianco o nero: tutte le sfumature sarebbero state niente di più che succedanee alla piena bellezza del progetto compiuto.

 

 

Anche la prossima partenza per la Mongolia ha motivi simili alle ragioni del viaggio afghano. Entrambi hanno una natura sentimentale: il primo nei confronti degli autori-viaggiatori che ho citato e il secondo nei confronti di mia figlia Jandira, 23 anni e uno spirito da giramondo, proprio come me e forse anche più di me. L’idea, infatti, è stata sua. Andare fino a là con lei, lavorare fianco a fianco per prepararlo durante i quasi quattro mesi previsti per la sua esecuzione è un progetto ammirato e credo anche un po’ invidiato da tutti i padri che ne sono venuti a conoscenza. Per me è stato un dono che non mi ha fatto esitare neppure un istante. Purtroppo suo fratello Rocco è rimasto escluso per più motivi, non ultimo quello che in macchina ci sono soltanto due posti. Mi dispiace molto, perché so che gli sarebbe piaciuto infinitamente. E anche questo lungo viaggio verrà compiuto in auto e non sarà privo di rischi; alcune zone, infatti, possono presentare problemi davvero complessi, come la presenza lungo il percorso di fondamentalisti islamici e ostacoli molto duri di carattere geografico e di orientamento. Mi riferisco in particolare alla zona del deserto del Gobi, in Mongolia, che abbiamo in programma di percorrere. Attraverseremo i Balcani e la Turchia, quindi parte del Caucaso del Sud, ovvero la Georgia e l’Azerbaigian, per poi traghettare verso il Turkmenistan. Questa volta dovremmo, salvo imprevisti, percorrere tutti i Paesi dell’Asia Centrale, Afghanistan a parte: l’Uzbekistan, il Tajikistan, il Kirghizistan, il Kazakhstan, una piccola parte di Russia e infine la Mongolia. Il ritorno, invece, sarà quasi tutto russo, poi ucraino, slovacco e austriaco”.

“Dopo il viaggio in Afghanistan hai scritto un libro su quella avventura. Immagino che accadrà la stessa cosa al ritorno dalla Mongolia”…

“Il libro afghano si chiama “Essere Terra – Viaggio verso l’Afghanistan”. Oltre alla narrazione del viaggio, che si è sviluppato attraverso i Balcani, la Turchia e l’Iran, nelle sue pagine si trovano considerazioni storiche sui Paesi attraversati, ma anche geopolitiche e filosofiche, nonché citazioni dai libri ispiratori e di altre pubblicazioni. È un racconto evocativo più che un diario o un reportage; ognuno potrà dare vita alla propria immaginazione attraverso le mie descrizioni, a volte fotografiche, di paesaggi e persone.

 

Fra l’altro, nel capitolo “Compatrioti” è raccontata la vicenda con gli “italians”, di come l’interprete del comandante della polizia locale chiamava i veri responsabili dell’arresto. Il racconto del ritorno, dall’Afghanistan all’Italia, attraverso l’Uzbekistan, il Kazakhstan, la Russia, le Repubbliche del Caucaso del Nord, l’Ucraina, la Transnistria, la Moldova, la Romania e nuovamente i Balcani, sarà pubblicato in un prossimo volume.
Certo, anche per la Mongolia è previsto un libro; immagino che la stretta relazione generazionale con mia figlia ne diverrà parte insieme alle terre, alle culture, alle persone. Anche in questa occasione scatterò moltissime fotografie, sperando di essere più fortunato con gli editori di questo genere di libri, rispetto a quanto accaduto con le immagini del viaggio afghano”.

“Quali altre iniziative del genere hai in cantiere?”.

“Sono sempre stato mezzo operativo e mezzo intellettuale. Il viaggio in Mongolia ha interrotto la realizzazione di altri libri, ma non di viaggi. Al ritorno, scrivere sarà il nuovo impegno. Diversi progetti, al momento, non sono che idee. Nulla di pianificato, dunque, ma la creatività non manca”.

“Tu sei milanese, vivi da sempre nella tua città e quindi sei la persona adatta a tracciarne un profilo, visto dall’interno e anche da molto lontano, visto il tuo girovagare per il mondo”…

“Sono un milanese traditore. Frequento poco tutto quello che la città offre, tanto di pubblico quanto di privato. Tuttavia, per le strade di Milano mi sento a casa.

Da lontano, però, resta molto provinciale, nonostante gli sforzi compiuti per non sembrare tale. Facendo un paragone e fatte le debite proporzioni forse Milano non sa che Parigi e Londra (per non dire di altre capitali o di grandi città), ad esempio, hanno un’identità nazionale che a Milano purtroppo non si respira. È come se avessimo venduto l’anima, pur di restare nelle orbite del cosiddetto progresso”.

Lorenzo Merlo studia la cartina del viaggio in Mongolia, con partenza prevista per il prossimo 5 aprile

“E quindi com’è cambiata e come sta cambiando Milano, secondo te?”.

“Conosco molte zone. Non uso il navigatore (come anche nei viaggi, dove impiego carte, altimetro e bussola), ma sono sempre orientato. Quando è stata creata l’Area C la libertà che avevo nel percorrere la strada è stata falciata. Quell’area mi ha reso la città, almeno il Centro, davvero estranea. Milano era mia e ora non più. Da ragazzino si sentiva parlare il dialetto milanese e ora non più. Anche questo corrisponde a una morte simbolica. Si è trasformata in una piccola area multiculturale senza la bellezza di una vera integrazione. Ora invece del dialetto milanese senti il georgiano, l’egiziano, il moldavo. È una semplice osservazione che ha un riflesso psicologico, non una critica politica. Del resto, nel libro sull’Afghanistan ci sono molte occasioni in cui ho modo di dire che le differenze tra gli uomini hanno un fondamento fittizio. Tutti abbiamo gli stessi sentimenti, gli stessi legami e le stesse aspirazioni. Per quelli della mia generazione si tratta di passaggi di una certa importanza. Milano era nostra e ora non lo è più. O semplicemente bisogna aggiornare il concetto di “nostro”. C’è poco da raccontarsela. Naturalmente, i ragazzi nati oggi non potranno pensarla così e saranno loro a sottolinearne i presunti pregi culturali”
“Milano però ha sempre avuto un respiro più ampio dei suoi confini. Tutto quello che la riguarda interessa sia a livello nazionale che internazionale. Pensi che sia in grado, anche oggi, di interpretare questo ruolo?”

“Si, giocoforza la sua direzione non può che essere considerata quella. Non può che pensare di restare nel “gotha” del mondo che conta. Il problema è che quel mondo è al tramonto. La vita ridotta all’economia, la crescita infinita, il consumismo, l’opulenza, l’edonismo sono al capolinea. Almeno lo spero, per il bene delle prossime generazioni”.

“Per concludere, Lorenzo: come vedi il futuro di questa città?”.

Se le nuove generazioni sapranno emanciparsi da una concezione fondata ed esaurita nella dimensione competitivo-economica, ovvero se saranno all’altezza di recuperare la dimensione umana che il mito della produzione sfrenata e del progresso ha tralasciato molto sarà recuperato e avrà una ricaduta positiva nel sociale, nelle amministrazioni. Allora Milano tornerà a far sentire il pulsare del suo cuore. Diversamente, saremo facile preda di investitori senza scrupoli. Saremo una città (e un’intera nazione) al servizio di altri Paesi”…

Ermanno Accardi (giornalista e scrittore)