Il profumo dei ricordi: una Felce Azzurra in cambio di un bacio…

Milano si racconta

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Frequentavo allora l’ultimo anno delle elementari e nel nostro quartiere circolava una sola auto: una Topolino. Il proprietario trafficava in non so che, per cui era sempre via. Quando tornava a casa parcheggiava l’automobile sempre al solito posto sotto la terrazza. Il casermone in cui io e gli altri ragazzi abitavamo aveva sul tetto una grande terrazza, un luogo dove d’estate andavamo a giocare a carte, all’ombra del comignolo della centrale termica. Dal parapetto ci sporgevamo per sputare in testa ai passanti e una volta a qualcuno di noi cadde un oggetto pesante che trapassò il tettuccio in tela della Topolino. Il proprietario per diversi giorni indagò sul misfatto minacciando denunce a destra e a manca. Era convinto che fosse stato lo sgarbo di qualcuno. Il traffico che vedevamo dall’alto consisteva in biciclette cariche di operai che si affollavano sulla strada la mattina presto e la sera alla chiusura delle fabbriche, e in qualche Lambretta che passava scoppiettando. Nelle strade laterali noi giocavamo alla “campana”, disegnandola con un gesso sull’asfalto, alla “cavallina” allo “spassegin” o ci mettevamo seduti in cerchio per giocare al “sette e mezzo” con un mazzo di carte gonfio per l’uso. Avevamo due miti: il portiere del Milan Buffon (che poi sposò Edi Campagnoli, valletta di Lascia o Raddoppia) e Mariella. Mariella stava al 16/B, di fronte al nostro casermone. Aveva quattordici anni, tre o quattro più di noi, e nonostante i nostri ormoni russassero ancora della grossa, eravamo tutti innamorati di lei. Dovevano essere i capelli lunghi, o lo sguardo, o un contagio collettivo, fatto sta che ogni volta che passava per andare dal droghiere o dal lattaio interrompevamo i nostri giochi per osservarla. Nessuna era bella come lei, tranne le attrici che vedevamo al cinema, ma quelle erano un’altra cosa. Avevamo anche imparato a fischiarle dietro come facevano i ragazzi più grandi e quando lei si girava per elargirci un “cretini” erano grandi manate sulle spalle e strilli di gioia…

Un giorno qualcuno scoprì che di lì a poco Mariella avrebbe compiuto quindici anni. Subito pensammo di farle un regalo. Qualcuno precisò: “…un regalo ‘molto da donna’… ”. Dopo una ricerca scrupolosa nelle vetrine del quartiere e avere scartato una cinquantina di idee (eliminammo anche l’ipotesi di un reggiseno color rosa messo in mostra nella vetrina della merceria, perché andammo in confusione quando la commessa ci chiese la taglia), puntammo su una scatola di profumi esposta su uno scaffale della drogheria. Il signor Felice, il droghiere, teneva molto a quella scatola e la esponeva aperta perché si vedessero gli esemplari all’interno: una cipria, una brillantina, un profumo e una crema. A noi sembrò la cosa più bella che una ragazza potesse desiderare. Il signor Felice la tolse dallo scaffale quando glielo chiedemmo, e ce la mostrò da vicino. La chiuse perché potessimo ammirare il disegno in rilievo sul coperchio: un ventaglio e una mascherina contenuti all’interno di una cornice arabescata. Aprì e chiuse alcune volte la scatola per mostrarci l’effetto, poi la ripose sullo scaffale. “E’ una scatola Paglieri,” esclamò inarcando le ciglia come se ci avesse rivelato un segreto. “Felce Azzurra,” concluse come se non occorressero altre parole. Quando disse il prezzo fu come se Tiberio Mitri avesse tirato un poderoso sinistro al nostro entusiasmo. Noi non avevamo paghette settimanali. Passavamo le domeniche pomeriggio al campetto dell’oratorio a tirare calci al pallone aspettando l’apertura, alle quattro, del cinema parrocchiale gratuito (prima di vedere il film, però, era obbligatorio assistere alla funzione). A qualcuno venne un’idea. Per due settimane ci offrimmo volontari di porta in porta per fare la spesa in cambio di una piccola mancia. Le massaie, con nugoli di bambini urlanti cui badare e le pentole sul fuoco, ben volentieri ci lasciarono l’incombenza. Con la “sporta” nella destra e il biglietto della spesa infilato nel libriccino sul quale il negoziante segnava gli acquisti -che poi sarebbero stati saldati all’ultimo del mese, giorno di paga dei mariti- entravamo dal droghiere, dal lattaio, dal macellaio o dal fruttivendolo e ritornavamo carichi trascinando il borsone con le due mani. Alla fine delle due settimane avevamo i soldi per la scatola di profumi Paglieri. Il signor Felice disse che tanto valeva incartarla perché era più bella così. Il giorno del compleanno di Mariella ci presentammo davanti alla sua porta in un orario in cui la sapevamo sola in casa. Suonammo il campanello. A porgere il regalo dovevo essere io perché il più mingherlino e, benché coetaneo degli altri, il più piccolo. Forse così Mariella, vedendomi minuto e mossa a benevolenza, non mi avrebbe rifilato uno schiaffone. Avrei dovuto anche dire una frase di circostanza che immediatamente dimenticai quando la porta si aprì. Lei era sulla porta. Bellissima. Guardò me, noi, la scatola che porgevo a due mani. “Buon compleanno,” mi uscì con un filo di voce. Lei, dopo un attimo di esitazione, alzò il coperchio della scatola senza togliermela dalle mani e gli occhi le brillarono. Tolse la boccetta di profumo e con fare lento svitò il coperchio, inumidì il polpastrello e se lo passò dietro l’orecchio. Il gesto ci ammaliò e il profumo, misto al suo odore di ragazza, inebriò i nostri sensi. Le nostre guance si arroventarono fino a divenire rosse come mele e le mascelle, divenute inerti, cedettero. Restammo lì a fissarla senza respirare e a bocca aperta. Mariella ripose il profumo, prese la scatola, ci sorrise e con un gesto ci fece mettere in fila. A uno a uno, con l’indice, ci spinse in alto il mento, richiudendoci la bocca. E a tutti diede un grosso bacio sulla guancia. Quello fu il nostro primo regalo a una donna. La stessa per tutti. E forse fu il più bello…

Giorgio Dalla Villa

(Museo del Profumo)

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