Giusy Alessandro: “L’Economia lombarda deve cercare nuove soluzioni per sostituire la maggior parte degli schemi tradizionali e delle vecchie abitudini. E la politica nazionale dovrà assumere un ruolo davvero trainante”

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Chiacchierare con Giusy Alessandro è davvero piacevole. Perché piacevole è la persona, mentre la professionista ti arricchisce di conoscenza e informazioni grazie alla sua grande competenza professionale. Brindisina di nascita e milanese di adozione, la Alessandro è un’affermata consulente aziendale, con esperienze maturate a livello manageriale nei settori bancario e finanziario, sia privati che pubblici e sia in Italia che all’estero. E’ naturale, quindi, ragionare insieme a lei sulla difficile e delicata situazione sanitaria che stiamo ancora vivendo in chiave politica, economica e sociale.

Cara Giusy, come vedi oggi la situazione milanese? Che idea ti sei fatta, a questo punto, riguardo non solo al fenomeno in generale, ma anche alla reazione e alla situazione di Milano e della Lombardia?

“Ho alcune convinzioni riguardo alla situazione lombarda (e non solo) legata al Covid-19. Lo stato di generale confusione che serpeggia tra i cittadini, legato alla pessima informazione (talvolta alterata) che ci è stata offerta dall’apparato governativo, dai mass media e dalle istituzioni sanitarie, non ultima l’OMS. Temo che questo ingeneri dubbi tra i cittadini e che possa sfociare poi nell’affievolimento dell’importanza delle norme restrittive e in reazioni di rifiuto dovute all’assenza di credibilità, soprattutto, delle istituzioni. Abbiamo assistito a dichiarazioni discordanti e contraddittorie da parte di esperti in ambito scientifico e sanitario, in seno alle diverse correnti a cui gli stessi esperti appartengono. Abbiamo assistito alla grave accusa mossa al Governo per non aver inizialmente seguito i consigli degli esperti e di aver azzardatamente diramato direttive in contrasto con le necessità del momento. Stiamo assistendo alle gravi lacune create dalla inconcludenza di ministri che a causa del pressapochismo e all’incapacità organizzativa (vedi la scuola come caso più eclatante) contribuiscono ad arrecare gravi danni alle famiglie, ai lavoratori e agli stessi ragazzi. Insomma, regna la confusione e serpeggia il malcontento, che secondo me non tarderà a dilagante in tutta Italia. La situazione economica nazionale vedrà con l’imminente arrivo dell’autunno l’emergere tangibile dei problemi economici che hanno già colpito le fasce più deboli delle imprese: artigiani, piccoli commercianti, piccoli imprenditori. I grossi problemi occupazionali causati dal soltanto parziale recupero del grosso gap venutosi a creare in seguito al lockdown non sono emersi del tutto in quanto forzatamente il Governo vieta fino a fine anno i licenziamenti. E’ evidente che l’occupazione non si mantiene a forza di DPCM, ma sostenendo le aziende con seri programmi di recupero economico. Delle due l’una: o saltano le aziende che subiscono il divieto di licenziamento (ma a in favore delle quali non vengono adottati interventi a sostegno e in assenza di ripresa salteranno anche i posti di lavoro) o i lavoratori verranno lasciati a casa non appena decadranno i divieti di licenziamento. In sintesi, un Paese non può crescere senza una seria programmazione economica a sostegno di tutti i comparti”.

Secondo te è stato fatto finora tutto quello che era possibile e doveroso fare?

“Parlano i dati: finora abbiamo assistito ad annunci da parte del presidente del Consiglio puntualmente disattesi o contraddetti, ma mai messi in atto. E’ stato fatto tutto ciò che non serviva e le imprese, dalle micro a quelle che rappresentano il più importante tessuto economico del Paese (le PMI) stanno ancora attendendo segnali chiari sulle politiche economiche di medio termine e soprattutto attendono ancora di comprendere se e come si concretizzerà l’auspicato sostegno finanziario, senza il quale molte di esse falliranno. Tanto è risaputo il grado di debolezza strutturale, conseguenza di sempre scarsa programmazione industriale nel loro stesso interno. Quello che peggiora una già precaria condizione economica e industriale è l’assenza di una chiara o quantomeno minima individuazione della programmazione economica industriale del Paese, che un governo prima o poi dovrebbe essere in grado di delineare. La precaria politica economica interna è aggravata inoltre dall’assenza di una politica economica comunitaria, ancor più grave se si considera il livello di dipendenza del nostro governo alle decisioni dell’Unione Europea. Tanto più che quest’ultima ha dimostrato di saper creare solo rotture tra gli stessi stati membri, tra falchi (i Paesi del Nord Europa) e Paesi del Sud spesso tacciati di distruggere le risorse senza creazione di valore”.

Sul fronte della corretta informazione sono stati commessi molti errori?

“A mio parere l’unico errore (se così lo vogliamo chiamare, ma è purtroppo un cancro del sistema) è attribuibile ai canali ufficiali di informazione, che non sanno più comunicare con la gente perché troppo compromessi con il regime. A parte qualche eccezione rappresentata dai media o da giornalisti liberi e scrupolosi il lettore attento deve cercare le notizie tra i canali non ufficiali (sempre che non vengano prima o poi censurati) invece di cadere nella rete dell’informazione asservita al sistema”.

I comportamenti complessivi degli italiani (e in particolare dei milanesi) finora sono stati buoni o possono ancora migliorare?
“I milanesi e i lombardi in generale hanno sempre dato dimostrazione di essere in ogni momento presenti sulla scena sociale ed economica.  La loro voglia di fare è nota da sempre; in virtù di questa necessità hanno assunto comportamenti corretti per poter uscire presto dallo stato di stallo. Poi, ovviamente, le eccezioni ci sono sempre”…

Giusy Alessandro immortalata durante un incontro di lavoro. Brindisina di nascita e milanese di adozione, è un’affermata consulente aziendale

Entriamo nel merito dei provvedimenti presi dalle autorità nazionali, regionali e cittadine. Da cittadina che opinione hai al riguardo?

“Reputo che i provvedimenti assunti dalle autorità regionali e cittadine (prima che governative) siano stati inizialmente improntati scrupolosamente su principi di elevata prudenza nella consapevolezza di dover evitare di cadere in una spirale negativa, perdendo la via d’uscita. Soprattutto la Lombardia ha dovuto assumere decisioni severe, talvolta contrarie all’opinione dominante, che hanno portato risultati importanti. La nostra regione è riuscita a contenere l’espansione della pandemia in soli quattro/cinque mesi, riallineandosi alle regioni del resto d’Italia. Naturalmente, mancando una direttiva sanitaria nazionale e almeno una linea guida di intervento, non sono mancati ritardi o errori. Mi sembra, tuttavia, tutti contenuti in un range veramente accettabile data la situazione in cui hanno legiferato le istituzioni regionali”.

Ci sono persone che non hanno retto all’angoscia della situazione economica incerta molto di più che al pericolo di uscire e ammalarsi. C’è chi è arrivato a suicidarsi. Come spieghi questi fenomeni?
Coloro che non reggono o non hanno saputo superare l’angoscia di non riuscire a guardare avanti purtroppo sono coloro che basavano la propria vita e quella dei familiari sul proprio lavoro, mandando avanti attività di piccolo commercio o ristorazione appartenenti ai settori economici più colpiti. E’ evidente che il fattore comune a questo e ad altri tipi di attività economiche è l’assenza di un supporto finanziario in grado di far fronte al danno subito a causa della chiusura forzata. Per supporto finanziario intendo un sussidio in conto capitale (o a fondo perduto); quello che invece il Governo ha saputo deliberare è stata una delega al sistema bancario per concedere prestiti ai richiedenti secondo le norme tradizionali, che come ben si è visto nel recente passato soggiacevano alla ferrea regola del credit crunch”.

Parliamo del rapporto tra i cittadini e le banche. Che snellimento dovrebbe intervenire per aiutare, di fatto, le aziende?

“Voglio spezzare una lancia a favore del sistema creditizio. Il sistema soggiace a rigide regole imposte dalla BCE (Banca Centrale Europea) e dai regolamenti emanati da Bruxelles nel corso degli ultimi dieci anni. Il sistema di controllo, pensato per tutte le banche dei Paesi membri, segue uno dei criteri secondo il quale il patrimonio di rischio della banca (calcolato secondo regole precise) deve essere adeguato al livello di rischio degli impieghi e al loro grado di garanzia. Il sistema creditizio italiano non è simile a quello di tutti gli altri paesi dell’UE perché costellato di piccole o medio-piccole aziende di credito, che ancora oggi tardano a unirsi creando un apparato industriale più consono alle dimensioni europee. Anche il sistema imprenditoriale italiano, pullulante di PMI (in Lombardia c’è la più ampia concentrazione e numerosità, rispetto al resto d’Europa), necessita di criteri di concessione di credito rispetto a quello attualmente in vigore, che mal si adatta alla realtà industriale e alla struttura patrimoniale delle imprese, molte delle quali a conduzione familiare o gestite direttamente dai componenti della famiglia degli imprenditori. Le regole creditizie in vigore non consentono pertanto alla maggioranza delle imprese italiane di accedere agevolmente alla concessione del credito. Pensare di snellire i regolamenti in vigore è cosa complessa. Tuttavia, se i provvedimenti legislativi emanati durante il lockdown prevedevano la garanzia statale a favore del concedente il credito, allora la stessa legislazione avrebbe dovuto prevedere il superamento di determinati ostacoli normativi per agevolare l’accesso soprattutto alle aziende più fragili. La materia è complessa e irta di ostacoli burocratici, parte dei quali devono essere risolti con il placet di Bruxelles e della stessa BCE. Sicuramente la strada intrapresa dal Governo non può essere gestita superficialmente, ma sarebbe occorso il supporto delle stesse aziende di credito per raggiungere insieme gli obiettivi voluti dal legislatore. Pensate che molte banche, con l’introduzione della garanzia dello Stato, hanno creduto bene di concedere nuova finanza che in parte ha sostituito la vecchia (magari poco o affatto garantita) per poter rinforzare la certezza di rimborso. Queste manovre hanno provocato semplicemente l’erogazione di credito, insufficiente a garantire la sopravvivenza dell’azienda o il superamento dei problemi contingenti. Superficialità del legislatore?”.

Gli istituti di credito offrono finanziamenti perché sono garantiti dallo Stato, però poi in realtà non li erogano perché dicono di non aver ricevuto alcuna garanzia statale. Qual è la verità, secondo te?

Se dicono che non hanno ricevuto alcuna garanzia statale, o non hanno effettivamente ricevuto nulla o non si fidano dello Stato”.

Cosa manca nel Decreto Rilancio perché sia davvero uno strumento legislativo utile alla ripresa economica milanese, lombarda e nazionale?

“Manca principalmente la finanza in tempi brevi e certi. Non possiamo attendere che siano messi a regime gli strumenti quali il Recovery Fund, lo SURE o il MES, che per il momento sono stati solo approvati dalla Commissione. Mancano le norme di attuazione, ma soprattutto manca la copertura finanziaria da ricercare sui mercati internazionali. Le aziende hanno bisogno di capitale oggi, prima che chiudano o falliscano”.

Un’altra bella immagine di Giusy Alessandro, scattata durante un periodo di vacanza dalla sua attività professionale

In questi mesi si è sviluppata una sorta di soddisfazione per le disgrazie altrui. Per quelle di Milano e della Lombardia, per esempio. Qual è la tua opinione?

“In Italia c’è la strana e ingiustificata tendenza a godere del male altrui. In questa circostanza molti hanno dimenticato che il sistema sanitario lombardo ha sempre accolto tutti coloro che venivano da altre parti d’Italia, soprattutto dal sud. Pertanto, a posteriori non si può definire inconsistente. Altrettanto vale per le università, le imprese, la scuola in generale. Augurarsi che l’economia della Lombardia precipiti è come augurarsi che precipiti almeno il 22% del PIL nazionale. Secondo gli ultimi dati noti risalenti al 2017, infatti, la Lombardia ha registrato un PIL di 383,2 miliardi di euro, rispetto al dato nazionale di 1.725 miliardi e che unitamente al PIL di Veneto ed Emilia Romagna contribuisce al 40% del PIL nazionale”.

Questa città vive delle sue relazioni, degli incontri che diventano occasioni e progetti. Tutto questo è stato fermo e ora è fortemente rallentato. Cambierà, secondo te, il modo di vivere Milano?

“Sicuramente cambierà. Il mutamento lo stiamo già vivendo, per esempio nel settore immobiliare e della ristorazione. A causa dello smart working, già in atto dallo scorso mese di marzo, molti appartamenti sono stati liberati e non verranno riaffittati a breve. Molte attività ristorative, le cui entrate principali dipendevano dal numero dei clienti fuori sede che lavoravano negli uffici della città, hanno dovuto chiudere o hanno visto rallentare fortemente le entrate. Non cambierà solo il modo di vivere di Milano, ma di tutte le realtà che stanno vivendo il cambiamento che ha scoperto anche gli aspetti positivi delle nuove abitudini”.

Tu come ti sei organizzata? Com’è cambiato il Tuo lavoro in questo periodo?

“Per me non è cambiato molto, potendo svolgere la libera professione dall’ufficio di casa”…

Non pensi che come spesso accade, paradossalmente, in situazioni come queste si creino nuove opportunità?

“Credo che la creazione di nuove opportunità dipenda dalla capacità di ciascuno di noi di saper cogliere ciò che di positivo offre qualsiasi condizione della vita che viviamo. E’ nostro dovere trasformare il cambiamento in giuste opportunità”.

Per chiudere, Giusy: quale sarà, secondo te, il futuro politico-economico milanese, al termine di questa storia?

“Personalmente vedo sempre l’Economia connessa strettamente alla politica del Paese. L’Italia sta subendo da troppi mesi l’inattività e l’approssimazione di una colorazione politica al governo. Tutto ciò sta erodendo le occasioni di ripresa dell’Economia nazionale e in particolare della nostra Regione, che rappresenta il cuore pulsante dell’economia nazionale. I sussidi distribuiti a pioggia ai cittadini non andranno certamente a supportare gli investimenti o i consumi, tanto meno se manca la fiducia da parte delle imprese e dei cittadini. Non voglio peccare di pessimismo, ma i dati economici parlano da soli: perdita del PIL stimata a meno 10& alla fine 2020. A questo farà seguito immediatamente un’elevata perdita di posti di lavoro, soprattutto nella fascia dei più giovani. Manca la garanzia del mantenimento dei posti di lavoro nell’ambito del privato. In ambito pubblico, invece, si garantisce il mantenimento del posto di lavoro, per di più agevolato dal sistema di smart working finora prorogato (ingiustificatamente) fino a fine anno. Questa disparità di condizioni di lavoro potrebbe creare uno scompenso sociale tale da innescare rivalità concrete e non solo dialettiche. Milano si dovrà inventare situazioni nuove per sostituire velocemente parte dei vecchi schemi e delle vecchie abitudini. E la politica dovrà assumere un ruolo trainante, con il placet di un governo centrale veramente capace”…

Ermanno Accardi (giornalista e scrittore)