Antonello Loreto: “Sono innamorato di Milano e vorrei vivere qui. E’ efficiente come una città del Nord Europa e al tempo stesso a misura d’uomo”

Non fatevi ingannare dall’immagine di copertina, dove mostra un’espressione a metà fra il burbero e l’imbronciato, che richiama un po’ l’indole degli orsi marsicani che popolano l’Abruzzo, la regione in cui è nato. Antonello Loreto, aquilano, 49 anni, è un uomo piacevole, di compagnia (quando la compagnia è quella giusta) e un bravissimo scrittore. Una laurea in Giurisprudenza, consulente per quasi vent’anni nel campo dello sviluppo aziendale, della comunicazione e del marketing, vive a Roma ormai da molto tempo, ma non disdegna frequenti sortite a Milano, una città che ama e nella quale ha sempre promosso i suoi libri. E proprio nella nostra città l’ho conosciuto e apprezzato, instaurando una bella amicizia e costruendo un rapporto di stima reciproca, che mi ha portato a presentare con piacere ed orgoglio le sue due prime opere, “La favola di Syd” (ilmiolibro.it, 2014) e “Un’altra scelta” (Edizioni Progetto Cultura, 2016). E sempre per la seconda casa editrice nel 2018 è arrivato “Regina Blues”, che purtroppo, come molti miei concittadini, non ho ancora avuto il piacere di leggere. “Regina Blues è una storia di resistenza e di speranza”, racconta Antonello. “Narro la vita pulsante di una domenica mattina a Regina, città di fantasia, ma identificabile con L’Aquila, attraverso le vicende di undici liceali del Classico (i Santi) e undici dello Scientifico (gli Eroi), che nel pomeriggio dovranno affrontarsi nella finale di un torneo di calcio tra le scuole, ormai un evento mondano per la città. Nel pomeriggio, appunto, la partita verrà bruscamente interrotta da un terribile episodio che segna le sorti della città e dei ragazzi, che ritroveremo nell’ultima parte del romanzo a circa trent’anni di distanza da quella giornata, ognuno con la propria vita alle soglie dei cinquant’anni d’età e ognuno alle prese col proprio destino, irrimediabilmente condizionato da quella domenica”.

La copertina di “Regina Blues”, il nuovo libro di Antonello Loreto

Hai in cantiere, per caso, un quarto libro?

Regina Blues mi ha letteralmente “prosciugato”. E’ stata una stesura lunga, difficile e a tratti anche dolorosa e faticosa. Il romanzo sta viaggiando bene, per cui sono molto impegnato con la promozione. Per dire che sto lavorando a un “soggetto”, una storia più leggera della precedente e ancora in embrione. Credo che comunque ci vorrà un po’ di tempo, prima di uscire col prossimo lavoro”.

Tu affianchi attualmente all’attività di romanziere la direzione di alcune rassegne letterarie tra Roma (dove vivi) e Milano, dove vieni spesso e volentieri, visto che ne canti le lodi. Puoi essere considerato, ormai, un milanese “honoris causa”…

“È vero, sono innamorato di Milano. Con Titti, mia moglie, ci diciamo che se si creassero le condizioni ci piacerebbe viverci, anche perché Roma è diventata una città difficile. Mentre Milano, per proseguire, è una città “facile”. Attenzione: non ho detto “semplice”, ma “facile” perché la trovo decisamente vivibile, pulita, accogliente, insomma un luogo dove si può vivere, appunto, “facilmente”. Mi è sempre piaciuta, ma oggi la trovo ancor più moderna, paragonabile ormai alle città della Mitteleuropa, del Nord Europa, con gli stessi tratti di efficienza, ma al contempo a misura d’uomo. Poi sai, scrivere per professione è un privilegio perché ti costringe ad osservare, ad alzare gli occhi e a guardare il mondo. Sembrerebbe scontato ma una vita normale, routinaria, tipica, questa possibilità non la dà quasi mai a chi la vive, perché spesso puoi soltanto difenderti dal quotidiano”.

Qual è, a tuo avviso, la situazione attuale, riguardo la letteratura e l’editoria in Italia e in particolare a Milano?

“E’ un tema che non può essere trattato in poche righe perché è molto complesso, come sai molto bene. Ha a che fare col ruolo sociale della lettura, che ormai si è quasi perso, con le scelte discutibili dei pochi e grandi attori del mercato editoriale che fagocitano il resto, con una permanente puzza sotto al naso di molti operatori culturali della filiera del libro, che prediligono il business e la vendita facile al lavoro più duro e francescano della ricerca del talento nel sottobosco. E poi oggi ci sono i social network, che hanno portato grandi novità, riguardo al modo di comunicare. E se non ci fosse la “community”, che mi segue proprio sui social, probabilmente non potrei fare stabilmente lo scrittore. Ma sono armi a doppio taglio, perché essendo molto esposto l’autore che non sa maneggiarli può subirli, con un vero “effetto boomerang”. E poi ci sono gli aspetti personali legati ai social; devi mettere in conto, infatti, che non piacerai a tutti, che potresti suscitare invidia se hai un buon successo, che magari ti daranno del marchettaro e via di questo passo. Se conosci un po’ il marketing e sei in grado di gestire caratterialmente questi aspetti i social network possono trasformarsi in un ottimo volano”.

Ermanno Accardi e Antonello Loreto durante la presentazione di uno dei libri dello scrittore abruzzese

Quello che succede a Milano ha sempre varcato i suoi confini e suscitato l’interesse del mondo e oggi, se possibile, ancora di più. Tu cosa ne pensi? E non credi che questi fari puntati costantemente sulla città abbiano portato imprenditori, finanzieri e banchieri internazionali a cospicui investimenti economici e finanziari per impadronirsene?

“Non lo so, ma credo che Milano possa essere in grado (forse lo è già, insieme a Torino) di rappresentare la modernità dello stile italiano, che non è paragonabile al concetto di modernità d’Oltreoceano o del Sud-Est asiatico. È una cosa che contempla il progresso e le nostre tradizioni culturali e secolari, che ci hanno permesso di essere una delle culle della civiltà dell’uomo e che per questa ragione vanno tutelate. Ma senza chiudersi, però. Perché il pericolo vero è non accorgersi e sottovalutare il fenomeno storico dell’integrazione tra popoli, del multiculturalismo, che sono opportunità più che rischi e che certamente non possono essere affrontati con la mentalità provinciale che spesso ritrovo anche sui social network di cui parlavamo prima”.

Ecco, a proposito del fenomeno dell’immigrazione a Milano. Che opinione ti sei fatto nel corso di questi anni?

Quella a cui ho accennato: la vera scommessa è considerare l’immigrazione come una opportunità. Così come siamo stati capaci noi o gli irlandesi, molti anni fa, di contribuire a creare l’economia più grande del mondo, se questo fenomeno straripante viene condotto nell’alveo giusto può rappresentare, appunto, un successo. Ovviamente va regolata, deve essere sostenibile e concordata con gli altri importanti protagonisti della scena mondiale, ma sarebbe miope affrontarla a colpi di pseudo-razzismo, di opposizione pregiudiziale, di timore del “diverso” perché a prescindere dal merito dei singoli aspetti sarebbe come voler fermare con le mani una diga che esonda. Si finisce per essere travolti e non mi pare una cosa intelligente. Per quanto riguarda l’immigrazione a Milano non ho sufficienti strumenti per rispondere in modo compiuto, ma credo che la città non debba sottrarsi alle cose che ho detto”.

Quando si parla di immigrazione, specie se è incontrollata, il pensiero va subito al tema della sicurezza e ai “soggetti più soggetti” (passami il gioco di parole) alle violenze, come le donne. A proposito: il 2020, a Milano, sarà “L’Anno della Donna”. Ritieni la nostra città, appunto, a misura di donna? E non solo dal punto di vista della sicurezza, ma anche per quanto riguarda il lavoro e la cultura”…

Rispondo come prima: Milano è una città “facile”, per cui è assolutamente il posto adatto nel quale una donna (che a parte le chiacchiere al vento sull’emancipazione, nei fatti è ancora trattata per molti aspetti come cittadino di serie B) può ambire all’affermazione e alla realizzazione dei propri sogni. Chiaramente gli ambiti citati favoriscono un circolo virtuoso, se declinati bene. Però permettimi di dire una cosa: mi piacerebbe vivere in un mondo nel quale non dovremmo sentire l’esigenza di istituire “L’Anno della Donna”. Pensaci, sembra quasi che l’altra metà della popolazione (noi maschietti, per intenderci) si arroghi il diritto di trattare l’altro sesso come una sorta di “specie protetta”. Ecco, quando riusciremo a fare a meno di eventi del genere potremo dire di aver vinto tutti”.

Ermanno Accardi (giornalista e scrittore)